Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Il cervello è duale

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Il cervello è duale

Potremmo dire che il cervello ha un comportamento duale nel rapporto con lo stressor. Esso somatizza lo stress (con le conseguenti ripercussioni sulla sua struttura e sugli organi tutti dell’organismo) ma, allo stesso tempo, è in grado di selezionare cosa lo stressa e cosa no. Paradossalmente, quindi, è il cervello che decide cosa lo distrugge.

Un lavoro che per me potrebbe essere piacevole e gustoso perché richiede pazienza e meticolosità, per un’altra persona, magari ansiosa e frettolosa, potrebbe essere fonte di stress per la lunga attesa necessaria all’ottenimento del risultato o per l’intensità dell’impegno richiesto. Allo stesso tempo un lavoro per me piacevole potrebbe diventare la mia fonte di stress se un collega insopportabile lo contamina quotidianamente ed io mi chiudo invece di imparare punti di osservazione nuovi. L’entrare in empatia con una persona che appare ostile ma che in realtà potrebbe risultare quantomeno una persona ininfluente se presa per il verso giusto potrebbe rappresentare un punto di osservazione da tenere in considerazione. Potrebbe non trattarsi di amorevolezza bensì della capacità di comprendere l’altro se non altro per azzerarne gli effetti su di noi (inserire nell’equazione il valore che l’azzera).
Ad esempio comprendo che quel collega di lavoro è nervoso ed ostile perché soffre per il suo divorzio e, accecato dai problemi, risulta comprensibilmente intrattabile; per queste ragioni non rilevo come stress il fatto che mi tratti male ma ignoro questo comportamento, senza soffrirne, immaginando che io potrei fare altrettanto nella medesima situazione.

Anche le paure giocano un ruolo fondamentale così come la disinformazione (utile per spaesare e gestire le masse nonché, prima tra tutti, la loro capacità di spesa: decidere verso cosa e verso chi incanalare il flusso economico legato al frutto dei propri sforzi come lavoratori o investitori), l’incapacità (o l’assenza di volontà) nel verificare la veridicità di fonti, l’impazienza legata al voler dare una risposta immediata (e comoda) ad ogni cosa o al voler ottenere “tutto” con irrazionale immediatezza. Fattori che devastano la stabilità e l’equilibrio della persona, fattori che alimentano conflitti tra gli strati coscienti e subcoscienti della persona che, difficilmente, riesce a rendersi conto da sola di ciò che le manca nella propria formazione (autodiagnosi). E’ molto, molto poco, probabile incontrare qualcuno che sia in grado, mediante autocritica e autosservazione, di diagnosticare le carenze di sé stesso.
Generalmente la strada preferita è quella dell’entrare in conflitto con chi ci osserva dall’esterno (posizione dalla quale si avvantaggia di un ulteriore punto di vista, a noi poco noto) anziché, alimentare argomenti costruttivi affinché le osservazioni esterne possano essere integrate a quel che noi conosciamo intimamente di noi stessi e che da fuori gli altri non possono osservare (non in maniera esplicita).

E’ per tali ragioni che, come avrete notato, i vostri amici difficilmente inizieranno una discussione con voi, su qualcosa che state sbagliando, in modo da evitare complicazioni. Superficialità volta alla semplificazione, alla riduzione dei problemi assorbiti in forma invariante nell’indifferenza collettiva. Il vostro cane, invece, non può fare a meno di venirvi a confortare se vi vede giù di corda o ad abbagliarvi con un brontolio smorzato in dissolvenza se non condivide una vostra scelta. Per questo lo amate di più di una persona… da lui accettate le critiche così come la stretta vicinanza, dalle persone no perché sapete che c’è un di più di cui non si parla per comodo ritorno, invidie, gelosie, attriti, perbenismi, complicazioni, argomentazioni infinite faticose da sostenere, mancanza di volontà nel voler osservare le cose da angolazioni “scomode”. Il cervello è duale anche in questo, percepisce ma si tiene alla larga. Teme ogni cosa che non conosce.

Coltivare paure

Coltivare paure all’interno del cervello, quindi, significa generare con il vostro cervello stress che danneggia il vostro stesso cervello. Il gioco di parole è strettamente necessario. A tal riguardo potrebbe interessare, se lo gradite, leggere l’articolo “Pensiero, ragione, presa di coscienza, paura…” per provare a comprendere come certe paure siano formative, forgino la persona e si rivelino addirittura utili, se e solo se, vengono conosciute, combattute, tradotte e neutralizzate.

Un circolo vizioso in cui cadono praticamente… tutti

Considerate anche il seguente circolo vizioso: vi stressate oltremodo per seguire lo schema capitalistico “essere fare avere” in modo non umano. Poi cercate piacere e comodità che (senza saperlo) ritenete opportune per ridurre il cortisolo. Ma queste comodità alimentano i circuiti del capitalismo “essere fare avere” (e il cane continua a mordersi la coda) perché avete bisogno di altro denaro per potervele permettere. Vi fanno sentire meglio, ritenete non danneggino l’organismo e lo aiutino altresì nella sua ripresa. Ma tutto ciò non sarebbe stato necessario se non aveste scelto la vita più stressante e traumatica possibile attualmente disponibile per il vostro organismo, per la vostra persona. Il capitalismo, quando è puramente fine a sé stesso, magari ad un’immagine di sola parvenza, vi danneggia e alimenta solo altro capitalismo il quale, solo in forma ipotetica, dovrebbe salvarvi. Trattasi di un assurdo matematico lampante: per salvarmi dal capitalismo alimento ciò che lo intensifica. Non è un caso che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) abbia rilevato che proprio in Europa e Nord America siano prevalenti i casi di stress e disturbi mentali rispetto al resto del Mondo.

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Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Plasticità neuronale

Rubrica: Apprendimento | Learning

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Ora che abbiamo introdotto, in maniera del tutto informale, chi sono i principali giocatori nel nostro personale campo elettrochimico, possiamo citarli con un pizzico di consapevolezza in più per descrivere i metodi, le tattiche di gioco del cervello davanti alle situazioni che andiamo a considerare.

Plasticità neuronale: il cervello che si trasforma

In genere per plasticità si intende la proprietà di un materiale di essere fisicamente malleabile (l’esempio tra i più intuitivi che posso proporvi è sicuramente rappresentato dalla plastilina, il pongo). Si è scoperto che il nostro cervello non è statico come si pensava fino a pochi anni fa. Esso non rimane lungo la vita così come si è formato, impostato in principio, da bambini per poi invecchiare inesorabilmente perdendo le sue caratteristiche di partenza. Al contrario la sua caratteristica endemica è la plasticità ovvero la possibilità di modificarsi tutta la vita sulla base di specifiche esigenze. Nel caso del cervello parliamo precisamente di plasticità neuronale che esprime la capacità del sistema nervoso di modificarsi, da un punto di vista chimico, strutturale e funzionale, come risposta al passare del tempo o per contrastare il verificarsi di lesioni o, perché no, per rispondere a specifiche, anche severe, sollecitazioni della vita.

Cambiamenti chimici

L’apprendimento necessita di pratica costante altrimenti il rilascio dei neurotrasmettitori non è sufficiente per fissare le nuove abilità sviluppate. Se vi impegnate per qualche ora in un nuovo compito notate dei miglioramenti evidenti, ma se non ripetete con costanza l’esercizio e lasciate che passino giorni, settimane, sarà evidente come ogni volta dovrete ricominciare l’apprendimento dall’inizio (ad esempio con la chitarra o con un nuovo attrezzo da lavoro che utilizzate raramente). La pratica costante aumenta il rilascio di neurotrasmettitori rafforzando le capacità del cervello.

Breve nota per la salvaguardia dei bambini: le Neuroscienze hanno dimostrato che è molto più utile far esercitare un bambino anche solo 15 minuti al giorno con costanza nel tempo, giorno dopo giorno, lasciando che si diverta nel farlo, che traumatizzarlo nell’apprendimento ore e ore uno o due giorni la settimana, cosa che lo annichilisce solamente.

Cambiamenti strutturali

Sostenere che il cervello sia plastico non è un modo di dire giusto per comunicare che, se sollecitato, può aggiornare qualcosa di simile ad un software. Significa invece che può realmente mutare la sua morfologia, modificare l’hardware. Costanti stimoli inducono la germogliazioni degli assoni. Ricordate? Sono le “autostrade” su cui viaggiano i segnali elettrici a velocità più che doppie rispetto ad una Formula 1. Così come per gli assoni anche i dendriti (le fitte vie simili ad un attrezzatissimo centro urbano) mutano fisicamente generando nuove vie di collegamento e dismettendo quelle obsolete considerate inutili.
Allo stesso modo l’esercizio fisico migliora l’apporto di sangue (attraverso una molecola che prende il nome di ossido nitrico) e la relativa ossigenazione del cervello (nonché di tutti gli apparati del corpo) attraverso la generazione di nuovi vasi sanguigni capaci di arrivare sempre più in profondità (con tutti i vantaggi che abbiamo trattato nella rubrica “Curiosità sul cervello”, vedi i Link correlati in basso). L’organismo si adatta alle richieste più impegnative che gli vengono poste e con esse porta maggior qualità di vita. E’ come se l’organismo adorasse essere stimolato in modo costruttivo anziché essere abbandonato alla pigrizia o a stimoli incoerenti.

Cambiamenti funzionali

Questa innata capacità di adattamento del cervello porta quindi cambiamenti chimici, cambiamenti strutturali e, di conseguenza cambiamenti funzionali. Questo significa che può apprendere cose nuove, cose nuove di crescente difficoltà (come la Matematica, l’utilizzo di strumenti musicali, la risoluzione di problemi complessi, l’uso del corpo in modi sorprendenti nello sport così come nell’esempio solitamente sbalorditivo delle arti manuali). Ma può anche porre rimedio a situazioni gravi come ad esempio traumi. Il cervello, infatti, in seguito a lesioni, può autoattrezzarsi nell’utilizzo e nella specializzazione di nuove aree, al fine di compensare un deficit, tanto più facilmente quanto più è stato stimolato in un periodo sufficientemente lungo precedente al trauma. Il cervello può quindi crescere e arricchirsi nelle zone maggiormente utilizzate per adeguarsi a precise richieste. Ma ci riesce non necessariamente in seguito ad un lavoro intenso, bensì in seguito ad un lavoro costante di intensità proporzionata e variabile con il crescere delle prestazioni (alla stregua di un muscolo).

Gli stimoli

Quindi i neuroni comunicano tra loro tramite le sinapsi che hanno luogo grazie al rilascio di neurotrasmettitori. Necessitiamo di stimoli soprattutto di tipo cognitivo perché gli stimoli in sé, se sono privi di senso, non migliorano le prestazioni del cervello ma anzi lo affogano nella confusione. Necessitiamo di esercizio anche fisico perché il maggiore apporto di sangue ossigenato al cervello stimola la neurogenesi ovvero la crescita di nuovi neuroni (grazie alle staminali presenti in una regione del cervello denominata ippocampo).

L’apprendimento deve essere impegnativo per il cervello. Se si riescono ad imparare cose sempre più difficili, articolate, complesse, specializzate, otteniamo i benefici maggiori. I dati, le funzioni, le specializzazioni apprese verranno fissate la notte nel sonno (dove saranno riattivati gli stessi neuroni impiegati nell’apprendimento di giorno) e poi rinforzate con l’allenamento, la pratica, l’impegno teorico, l’ossigenazione cerebrale.

Impegno mentale di livello crescente, attività fisica, sonno, alimentazione sana… sono gli ingredienti per un cervello heavy-duty ma la volontà e la propria esperienza personale (rielaborata perseguendo una saggezza costruttiva) fanno la differenza molto più del singolo esercizio meccanico.
Hanno un’influenza non trascurabile anche la predisposizione iniziale dell’individuo e lo sviluppo di capacità “fissate” (non temporanee) derivanti da esperienze pregresse utili per la realizzazione dei propri progetti (previa coerenza delle operazioni, acquisizione consolidata delle capacità necessarie e fattibilità dei propri progetti).

Ognuno con la sua specifica strada

Non vi è uno schema che, ripetuto meccanicamente, ad algoritmo, porti un essere umano alla sua prestazione ottima. Ognuno deve trovare il proprio singolare metodo, adeguato alle proprie singolari caratteristiche e messo in relazione alla propria particolare vita. E questa ricerca del proprio metodo è in sé lo stimolo migliore che si possa imprimere al cervello, probabilmente il più faticoso, quello che impegna maggiormente e restituisce la miglior fluidità e complessità di elaborazione.

Se il vostro atleta preferito vi racconta come si è allenato per vincere i suoi titoli, e vi racconta anche i propri segreti, voi non vincerete gli stessi suoi titoli perché vi è una “complessità”. I principi dai quali partiamo, le caratteristiche dalle quali partiamo si ramificano in modo diverso per ognuno di noi in base anche agli eventi che attraversiamo nella nostra singolare vita. Le variabili sono così tante che pensare di poter ricondurre tutto ad un semplice copia incolla… è pura follia. Eppure la massa questo cerca e si illude di poter in qualche modo trovare la via dell’ottenimento senza fatica o a carico di terzi. E lo stress persistente aumenta e grava sull’organismo portando con sé una quantità inimmaginabile di problemi di salute che uno specialista può illustrarvi in modo serio, accurato, professionale.

I ruoli variegati dello Stress

Inaspettatamente, nella misura corretta, lo stress* risulta persino utile ed aumenta, ad esempio, la produttività sul lavoro così come migliora i personali risultati sportivi per il semplice richiamo al maggiore impegno. Nella misura corretta però. Tale condizione non deve perdurare. Fasi di stress si possono alternare a cicli di riposo e distrazione ma, se si eccede, se la condizione di stress è intensa e persistente, man mano che ci si avvicina al proprio limite si trasformerà in un trauma che danneggerà realmente strutture del cervello con la relativa perdita di funzionamento dello stesso. Ad esempio stress prolungati producono un eccesso di cortisolo (chiamato per l’appunto l’ormone dello stress) e si avrà un danno permanente all’ippocampo (in realtà agli ippocampi) rendendo impossibile la formazione di nuove memorie.
La produzione di cortisolo pertanto potenzia le prestazioni del cervello solo in una fase iniziale. Un buon equilibrio tra controllabilità e incontrollabilità delle situazioni alterna fasi di sicurezza a fasi di stress permettendo di sviluppare stretegie ottime per la risoluzione di problemi (a patto che nel cervello siano state inserite istruzioni valide su come imparare cose nuove, come verificare quanto si impara, come acquisire esperienza, come nutrire il dubbio**, come trasformare l’esperienza in ciò che occorre a seconda di precise condizioni che si verificano nella propria vita).

*Ovvero la reazione dell’organismo allo stressor, la causa della nostra alterazione.
**Le certezze infatti vi portano a ripetere inesorabilmente i medesimi errori e la frustrazione aumenta tanto più quanto più ci si aspettano alquanto improbabili cambiamenti di risultato.

Attenzione al Cortisolo

In risposta ad una improvvisa situazione di stress le ghiandole surrenali producono inizialmente adrenalina, successivamente cortisolo (entrambi ormoni considerati anche neurotrasmettitori). L’adrenalina, come è noto, aumenta il ritmo cardiaco, la pressione sanguigna e infonde una senso di surplus energetico fondamentale per tutte quelle situazioni del tipo “fight or flight response”, ovvero “combatti o fuggi”. In un secondo momento piccole dosi di cortisolo ci permettono di tornare alla normalità rimuovendo gli aspetti più spiacevoli dello stress. Questa regolazione è fondamentale per la sopravvivenza della specie animale (ma qualcosa di simile avviene anche nelle specie vegetali, cosa che vedremo al completamento della rubrica “I sensi delle piante”, vedi in basso i Link correlati).

Se però la situazione di stress è prolungata nel tempo si registra un aumento del tasso di invecchiamento cerebrale, danni agli ippocampi e, di conseguenza, alla capacità del soggetto di poter apprendere qualcosa di nuovo.
Il cortisolo, inoltre, è in grado di inibire il sistema immunitario (ci si ammala molto più facilmente a partire da un semplice raffreddore) ed interferire con il sistema endocrino (l’insieme di ghiandole del copro umano adibite alla produzione di ormoni).

Abbiate cura dei vostri Ippocampi

Gli ippocampi, che si trovano in una zona che possiamo immaginare come il nucleo dei rispettivi emisferi cerebrali, si relazionano con la memoria e con lo spazio. Per quanto concerne la memoria operano su quella di tipo episodico (esperienze personali) e su quella di tipo semantico (conoscenze di carattere generale) e sono impegnati nel consolidamento della memoria da breve a lungo termine. Un danno agli ippocampi (dovuto ad esempio ad un forte stress prolungato) può danneggiare la capacità di memorizzare nuove nozioni lasciando inalterate quelle già memorizzate. Non ha effetti invece sulla memoria implicita che permette di apprendere nuove abilità manuali (residenti in altre zone del cervello). I Neuroscienziati hanno dimostrato che forme di stress prolungato danneggiano gli ippocampi al punto da atrofizzarli almeno parzialmente.

Attenzione al Glutammato

Una situazione prolungata di stress produce quindi il relativo ormone, il cortisolo, esso a sua volta induce un’eccessiva produzione di un neurotrasmettitore eccitatorio detto glutammato da tenere bene sott’occhio. In dosi nella norma il glutammato contribuisce a regolare lo sviluppo cerebrale ed aiuta processi cognitivi di memoria e apprendimento. In dosi eccessive diviene tossico per i neuroni e porta stati d’ansia e depressione.
L’eccesso di glutammato porta inoltre conseguenze di tipo strutturale per il cervello quali l’atrofia dell’ippocampo e un’ipertrofia dell’amigdala con serie conseguenze di tipo comportamentale (difficoltà di attenzione e di memoria) e di tipo umorale (impulsività e difficoltà di controllo delle emozioni).

Continua…

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Cit. Cartesio, 1630, L’Uomo

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Nei precedenti articoli di questa rubrica abbiamo visto cosa si intende per Lifelong Learning, come nel mio piccolo l’ho improntato fin da bambino, che effetti ha avuto (quantomeno nel mio caso, senza quindi alimentare la pretesa di generalizzare una regola comune dato che non si tratta di un processo produttivo industriale ripetibile) e quale genere di risultati mi ha restituito la perseveranza “misurata”, “controllata”, effettuata con cognizione di causa (rivolgetevi sempre a medici specialistici per ogni esigenza al di fuori dall’ordinario impegno di studio). Ora si tratta di capire più nel dettaglio, ma sempre con un linguaggio facilmente accessibile, cosa avviene nel cervello, quando lo si stimola con un costante impegno di studio lungo tutta la vita, dal punto di vista dello sviluppo cognitivo e delle Neuroscienze.
Prima però è necessario introdurre il lettore a quei termini senza la comprensione dei quali il proseguimento nella lettura della rubrica sarebbe inutile. Tenterò di farlo nel modo più semplice possibile.

Il cervello è un vasto territorio che contiene e connette più luoghi specializzati

Immagina di guardare la Terra dal satellite e di divertirti ad utilizzare lo scroll per ingrandire la visuale dallo spazio all’atmosfera, passando poi alle terre emerse, i rilievi montuosi, le valli, i corsi d’acqua arrivando fino ai centri delle città, le varie tipologie di strade, i vari centri specializzati, dal centro urbano con tutte le sue fitte diramazioni fino alle zone commerciali, quelle industriali, le campagne, i poli di studio e di ricerca, le imponenti strutture della sanità e così via. Ebbene il cervello è così. Luoghi specializzati messi in comunicazione tra loro attraverso strade che portano una merce assai preziosa: le informazioni (grazie a stimoli chimici ed elettrici).

Più le strade sono vaste, collegate, ben manutentate, attrezzate e meglio viaggiano le informazioni con ampie possibilità di interscambio, di relazioni, di copertura del territorio (con esplorazione di ogni luogo potenzialmente accessibile). Alta efficienza, alta resa, alto ritorno sull’investimento cognitivo (alla stregua del ROE e del ROI), servizi migliori, più assortiti, notevole disponibilità, versatilità…

I neuroni sono come dei laboratori, delle scuole, delle officine. L’ufficio del direttore, del preside, del titolare è detto soma mentre dendriti, assoni e terminali presinaptici sono una sorta di vie del centro, autostrade e strade extraurbane di scorrimento. Le sinapsi rappresentano una giunzione articolata tra neuroni presinaptici (il potenziale di un’azione) e postsinaptici (l’esecuzione effettiva dell’azione), si tratta di un ambiente costituito da acqua nella quale sono immersi banchi di particolari molecole.
Queste (a dir poco) particolari  molecole dedicate dette neurotrasmettitori sono i corrieri, i vettori delle informazioni. Le informazioni nel nostro cervello, pertanto, viaggiano tramite messaggio chimico. I neurotrasmettitori* (quali ad esempio adrenalina, noradrenalina, ossitocina, dopamina, serotonina, norepinefrina, glutammato, vasopressina, testosterone, progesterone, cortisolo, endorfine, ecc.) sono contenuti in ampolle, dette vescicole, poste all’interno dei terminali presinaptici del neurone. La zona attraverso la quale ha luogo lo scambio di tali molecole è una zona di adesione posta tra i neuroni detta spazio sinaptico o fessura sinaptica. La richiesta di rilascio di neurotrasmettitori avviene mediante un segnale elettrico che corre lungo l’assone.

*Non tutti i neurotrasmettitori indicati tra parentesi sono propriamente dei neurotrasmettitori in senso stretto ma fungono da tali. Per semplicità di esposizione quindi li considereremo tali.

I neuroni (o cellule neuronali) sono cellule elettricamente eccitabili e messe in comunicazione da trilioni di connessioni che trasmettono impulsi di tipo elettrico mediamente alla ragguardevole velocità di 430 km/h, con picchi fino a 720 km/h, permettendo così la trasmissione dei segnali in una manciata di millisecondi (rendendoci in tal modo immediatamente reattivi ai pericoli con lo scopo di garantire la sopravvivenzza) al fine di rilasciare o inibire opportuni neurotrasmettitori.

La cellula neuronale è corredata di un sofisticato sistema di pompe di ioni di sodio e di potassio (che vedremo al completamento della rubrica “Macchine Molecolari Naturali”, vedi in basso i Link correlati). L’accesso o il deflusso di tali ioni permette alla membrana cellulare di mantenere un potenziale elettrico di riposo di circa -70mV (milli Volt). I neurotrasmettitori eccitatori aumentano il potenziale elettrico, gli inibitori lo riducono. Quando si superano circa i -30mV la cellula emette l’impulso elettrico che corre lungo l’assone al fine di ordinare il rilascio di altri neurotrasmettitori. Questo segnale può a sua volta essere convalidato o ignorato dagli altri neuroni a seconda di molteplici fattori (che leggerete, se vi va, sui testi specialistici 🙂 ).

Predisposizioni genetiche, stress, cattiva alimentazione, mancanza di attività fisica, influiscono enormemente sulle riserve di neurotrasmettitori compromettendo seriamente il funzionamento del cervello e l’equilibrio della persona.

Continua…

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Neuron detailed anatomy illustrations. Neuron types, myelin sheath formation, organelles of the neuron body and synapse. Image’s Copyright: library.neura.edu.au

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Prendi il tuo tempo, costruisci il tuo metodo, trova le fonti giuste.
Non c’è fretta : )

Studiare non significa necessariamente soddisfare scadenze, esami, punteggi. Significa soprattutto sfamare la propria curiosità, la propria voglia di capire, di osservare come funzionano le “cose” in un modo più profondo. Significa conoscere le ramificazioni dei temi che ci appassionano e le loro relazioni con noi, con il nostro modo di vivere, con le nostre abilità, con il mondo circostante e l’Universo conosciuto. Tutto questo può esser fatto in modo piacevole anche senza scadenze rigorose, senza quei tempi ristretti che non permettono realmente di far proprio un contenuto o un assieme di contenuti da mettere in relazione tra loro.

Quello che è fondamentale è disporre degli ingredienti giusti: la vostra dedizione, la vostra caparbietà, l’acquisizione di un metodo di studio valido (leggere un libro sembra semplice, in realtà richiede un metodo di discernimento delle informazioni senza il quale si spreca solo un mucchio di tempo e si assimila ben poco), l’adozione di fonti più che valide (testi specialistici, testi impiegati in percorsi universitari dedicati, estratti di ricerche operate da professionisti accreditati, estratti di conferenze tenute da tali professionisti, tesi di laurea…).

A tal proposito il web dovrebbe essere bandito come fonte, almeno nei primi tempi quando si è alle prime armi con uno studio serio, per l’enorme mole di contenuti fuorvianti: è davvero difficile, a meno che non si abbia un’esperienza consolidata, distinguere contenuti di qualità da semplici insinuazioni, sensazionalismi, rapide conclusioni, contenuti privi di consistenza, contenuti con fini diversi quali il lucro o la spinta del lettore verso determinate direzioni dei mercati per convenienze sleali.

Imparare ad imparare

L’anticamera del Lifelong Learnign è racchiusa protetta da un intrecciato percorso ad ostacoli che ne libera l’accesso solo ai più caparbi. Il primo ostacolo, forse il più ostile: imparare ad imparare. A mio avviso solo una volta che si è trovato un valido metodo, e lo si è collaudato, adattato, affinato, è possibile passare ai quattro fondamenti dell’apprendimento che non finisce mai citati dal Rapporto Delors del 1996 (che prendeva il nome dal Presidente della Commissione Europea), ovvero imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a essere, imparare a vivere insieme.

Il problema di fondo è tuttavia rappresentato dalla necessità di una caratteristica dell’individuo che probabilmente deve essere innata, una naturale propensione che in realtà non è disponibile in tutte le persone o forse giace disattivata al permanente stato embrionale: la volontà di perseverare. Quanti traggono un gusto dall’impegno, dalla fatica, dalla caparbietà quando si trovano davanti a qualcosa che non conoscono o davanti ad un problema? Il Lifelong Learning, lo studio che si estende e sviluppa lungo l’intera vita, deve essere un piacere, non una costrizione né tantomeno un suggerimento martellante che risulti mortificante per chi non è affine ad un continuo impegno mentale. Non dovrebbe pertanto diventare una malattia sociale né un’implementazione stimolata da farmaci a mo’ di “Limitless” (Neil Burger, USA, 2011).

Ho personalmente osservato negli ultimi dieci anni che avviare al Lifelong Learning persone che non nutrono un particolare interesse verso il continuo apprendimento non produce gli stessi risultati di chi lo applica per propria natura, per propria scelta, spesso persino inconsapevolmente. Nei soggetti invitati al Lifelong Learning, infatti, pur manifestandosi effettivamente dei piccoli ma interessanti miglioramenti rispetto al proprio passato, non si genera la stessa plasticità cerebrale di chi invece lo desidera a fondo, liberamente e vi incanala con gusto, passione, divertimento, emozione, persino sofferenza, la propria fertile, innata volontà. L’attività neuronale, sinaptica e assonica dei due modelli di individui è molto differente e, a pari percorso di apprendimento, chi impiega la volontà innata trae benefici molto maggiori misurati nei termini di ciò che si va a realizzare quotidianamente ad esempio in campo professionale, sportivo o artistico.

Nuove sfide, inoltre, mettono in guardia e stimolano la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, che risulta persino produttiva se la sollecitazione stressante, lo stressor, ha un’intensità limitata all’interno di un periodo di tempo definito. In caso contrario i danni cerebrali potrebbero essere irreversibili tanto più intensa e continuativa è stata l’attività stressante.

Ponendo due bambini davanti ad uno strumento musicale, quello che nutre una spontanea passione, imparerà in poche ore abilità che il suo compagno non riuscirà comunque a far totalmente proprie in settimane. A tal proposito, a difesa dei bambini, le Neuroscienze hanno dimostrato che si apprendono di più, e si fissano meglio nella mente, nozioni ed esercizi ad esempio musicali, dieci minuti al giorno in modo leggero e costante anziché ore e ore delle stesse lezioni una volta a settimana. Trattasi di carico distribuito. Immagina una mensola, immagina di porre lungo tutta la sua superficie i volumi di una consistente enciclopedia (come siamo soliti osservare); immagina ora di utilizzare la stessa mensola ponendo tutti i volumi impilati in un unico punto. Nel primo caso avrai un carico distribuito che solleciterà la tavola lungo una linea di flessione dolce non distruttiva, nel secondo caso avrai un carico concentrato che, seppur con lo stesso carico, solleciterà intensamente un solo punto arrivando a tagliare la tavola in due con il collasso della struttura.

Tra volontà e metodo

Vi sono soggetti che non hanno volontà (o la cui volontà è smontata e devono trovare prima un metodo per ricostruirla) e vi sono soggetti che hanno volontà. Anche disponendo di volontà, magari spinta dalla curiosità, dal desiderio di mettersi alla prova, da un sogno, è facile che non si arrivi ad un risultato concreto di tipo accettabile perché la volontà in sé è condizione necessaria ma non sufficiente per realizzare qualcosa di straordinario nella propria vita. Ci vuole metodo. Il metodo è l’utensile fondamentale da installare nella propria volontà per completare una delle parti fondamentali di un macchinario complesso mosso da un’intelligenza completa, audace, equilibrata, allenata (e non solo…).

Per straordinario non intendo diventare astronauta, mi riferisco più alla risoluzione intelligente di un problema quotidiano che affligge. E’ straordinario chi trova un modo di comunicare con una persona con cui prima alimentava un conflitto (deleterio a lavoro come nella vita privata). E’ straordinario rifar decollare un’attività con ottime idee che siano oneste. E’ straordiario trovare un modo legale per stravolgere un sistema economico obsoleto. E’ straordinario inventare nuove cose utili e non banali superfluità smuovimercato che traballano fino a che i consumatori non se ne accorgono. E’ straordinario risolvere un problema da soli quando gli organi competenti brancolano nel buio o sono giustificabilmente intasati, bloccati in un pensiero sorpassato. Straordinarie sono le cose che un essere umano sconosciuto, che si applica fuori dalle convenzioni, fa ogni giorno senza che la massa ne prenda mai atto. Ci sono tante persone incredibili, la cui vita è così fertile che se passassero il loro tempo sui social, o attraverso i mezzi che i non addetti al settore chiamano “tecnologia”, non potrebbero più occuparsi del “raccolto”. E di cosa nutrirai la tua mente? Di un Like? Di un display touch? Di una app? O di quello che sai fare, risolvere, offrire?

Un esempio per sondare il territorio

Una professoressa di lettere che tanto criticavamo tra compagni di classe ai tempi delle scuole medie si è rivelata preziosa, almeno per me, quando poi son cresciuto. Perché? Perché ci dava spesso esercizi di lettura di noiosissimi testi e voleva che dessimo un titolo ad ogni pagina e scandissimo il testo in micro informazioni e macro informazioni. Voleva inoltre che evitassimo di pasticciare le pagine con colorati evidenziatori con i quali, puntualmente, finivamo con il mettere in risalto praticamente tutto.

Il titolo ad ogni pagina occorreva ad inquadrare se avevamo compreso il nucleo del discorso o se ci eravamo persi tra dettagli meno significativi. Cosa ti vuol comunicare l’autore? Qual è il punto che vuole raggiungere? Qual è il succo del discorso? Come si mette in relazione con i contenuti di cui ti ha parlato prima? Come puoi metterlo in relazione con le cose che conosci già? Ci sono connessioni interessanti con i riferimenti bibliografici?

Le micro e le macro informazioni erano dei brevi testi descrittivi “telegrafati” senza articoli né preposizioni. Le prime erano fondamentali per mettere in evidenza ai bordi della pagina, a matita*, una cascata di informazioni principali dettagliate (ma senza esagerare altrimenti la pagina diventava illegibile e confusionaria). Le seconde erano più rade e determinavano un cambio di tema lungo un capitolo (oggi forse meno necessarie in quanto vanno scomparendo i libri con lunghi capitoli di 60 pagine ai quali si preferiscono capitoli frammentati e già titolati al fine di spezzare la lettura in modo ordinato e sicuramente più agevole).

*Magari con una HB-2 temperata dolcemente… i libri han bisogno di cura : )

Questo lavoro nel trovare titoli, micro e macro informazioni da riportare in maniera misurata e ordinata lungo le pagine permetteva di ottenere due grandi vantaggi. Il primo: l’apprendimento; senza accorgercene assimilavamo il contenuto in modo più profondo in quanto dovevamo elaborarlo per sintetizzarlo. Inoltre dovevamo cogliere necessariamente i reali aspetti salienti, i reali oggetti della comunicazione proposti dell’autore. Il secondo: il recupero delle informazioni a posteriori; con un libro ordinato e scandito a matita si ritrovavamo agevolmente contenuti salienti che dovevamo poi inserire in un tema o un saggio o utilizzare dopo molto tempo per un’interrogazione o un esame.

Ma allora perché il metodo non funzionava a scuola? Perché non gliene fregava nulla a nessuno degli autori minimalisti polacchi e dei loro tetri pomeriggi piovosi che facevano da cornice a drammi uggiosi. Così come, parlando seriamente, bambini di 11 anni non potevano comprendere la gravità e le implicazioni di temi profondi quali l’olocausto che, invece, andavano trattati con il giusto approfondimento ad un’età in cui realmente si possono comprendere i motivi per i quali un popolo non può e non deve più accettare simili scempi disumani in nessuna forma.

Bisogna cogliere nel segno. E’ necessario approdare a temi cari ai bambini per fornirgli in modo efficace i primi metodi di apprendimento consolidati. Altrimenti non è poi possibile passare a quelli successivi più sviluppati, articolati e prolifici che, generalmente, ogni persona che ha piacere di studiare, trasforma nella versione più aderente a sé.

Continua…

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Cit. alta, Nelson Mandela

Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Una intro personale

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

L’apprendimento che non finisce mai

Alcuni anni fa mi davano quasi del matto. Diverse persone a me vicine, tra cui anche professori che hanno attraversato la mia vita di passaggio o altri con i quali ho mantenuto uno splendido rapporto costruttivo per anni, stentavano a concepire il mio metodo di studio. Stentavano a concepire il mio perseverare nel voler studiare e proseguire l’Università (con il progetto, un sogno possibile, di una Laurea e poi una seconda e una terza…) nonostante la crisi economica globale avesse messo in ginocchio l’economia e con essa anche l’attività dei miei genitori. Sostenevano che un ragazzo normale, se non può studiare perché trattenuto da altro, ad esempio da motivi di forza maggiore quali il lavoro, abbandona gli studi, ci mette una croce. Io no.

Si fosse trattato solo del lavoro… in realtà l’impegno a cui andavo in contro era molto maggiore del lavoro in sé. L’ambizione nell’innovazione dei metodi lavorativi e l’impegno nel recupero delle configurazioni aziendali precedentemente ignorate dai predecessori per l’impiego di modelli organizzativi obsoleti, hanno rappresentato uno sforzo costante, intenso, mastodontico, reso dolce dal piacere di studiare e di mettere in pratica, quindi di provare e verificare meticolosamente gli esiti.

Personalmente non credo al modello di un segmento temporale predefinito per gli studi, uno per il matrimonio, uno per il mutuo, uno per la monovolume (ora suv) con i seggiolini dei bimbi (perfettamente installabili anche sull’auto che avevi prima), uno per dedicarsi all’omologazione (cercando di essere e fare quel che sono e fanno gli altri) e, nel frattempo, il lavoro a debito perpetuo rincorrendo una vita confezionata, precotta, preimpostata, che non è sostenibile dal cervello e, in cascata, da tutto il resto.

Esistono delle priorità, è vero. Ma le priorità non si contendono tra studio e lavoro, bensì tra quel che siamo, desideriamo essere, desideriamo diventare capaci di fare e quel che sono e fanno le masse. Le priorità si contendono tra il timore di perdere la possibilità di realizzare sogni perfettamente raggiungibili (con le capacità che dobbiamo oggettivamente riconoscere di avere o meno) ed il timore di essere giudicati diversi, inadeguati, non conformati, fuori omologazione rispetto ai più. Le priorità all’ennesima potenza o, più correttamente, le priorità esponenziali (nella forma priorità elevato alla priorità) sono l’espressione di quel che in una vita conta realmente: l’impegno nel fare quel che si sente di poter realmente fare. Perché lo studio è vita e il lavoro è vita, entrambi nobilitano l’Uomo e tra i due non può esserci prevalenza.

Dalla mattina al pomeriggio

Così mi accorgevo che la mattina studiavo splendidi Teoremi di Matematica, intriganti leggi della Fisica descritte a loro volta da una Matematica che, spesso, in forma semplice ed elegante, si ripeteva inaspettatamente allo stesso modo capitolo dopo capitolo su diversi argomenti (la radice era sempre la medesima anche se non lo si notava subito) e ci vedevo il pomeriggio soluzioni per i miei progetti, per i miei problemi, per il mio quotidiano, per i miei desideri, per la mia soddisfazione. Una lingua come la Matematica, che appariva a me inizialmente incomprensibile, rivelava tutta la sua logicità al mio perseverare nel suo studio, al mio ostinato perseverare nel suo studio. Perché difficile è bello, difficile è affascinante, difficile è scoperta, difficile è spettacolare, difficile è stimolante, difficile è soddisfazione. Un mondo dentro ad un mondo che contiene infiniti altri mondi. Tutto chiaro in bella vista e allo stesso tempo invisibile ai più che ci passavano davanti in ogni momento senza rendersi nemmeno lontanamente conto, incredibile. Perché mi affascinavano eleganze come l’Identità di Eulero, la Morfogenesi di Turing, i Frattali di Mandelbrot, il Paesaggio di Riemann, la Relatività di Einstein? Perché una volta sostenuto un notevole sforzo per avere una visione più chiara di un concetto matematico, fisico, chimico, storico, poi risolvevo più agevolmente i problemi della mia vita come se fossi d’un tratto più allenato? Perché quel desiderio non si saziava mai e concetto dopo concetto desideravo riandare a lezione, capire, non imparare a memoria ma capire, rielaborare, applicare? E come mai i miei progetti, sempre più complicati diventavano realtà?

Studiare è la mia passione, fare ricerca è la mia vita. In certi periodi non riesco a stare per più di qualche ora lontano da libri, calcoli, teorie scientifiche, prove di laboratorio, analisi, ragionamenti, logiche, esperimenti, costruzioni pratiche, prove dal vivo, verifiche nella vita reale, progetti, rinnovamenti, cambiamenti, innovazioni, risoluzione di problemi. In certi altri periodi, invece, lunghe pause tentano di mettere ordine in un fiume turbinante di concetti mentre mi occupo di tutt’altro durante un deaffaticamento della mente che impegna la struttura del mio corpo (nel mio caso una versione a me aderente del Triathlon).

Così ho dedicato gli anni che ho dedicato a risolvere per la mia famiglia e me i problemi gravissimi legati alla crisi economica globale, ai cambiamenti sociali, a quel che c’è dietro, a quel che ci sarà dopo, e poi ho ripreso a ritmi sostenibili i miei appassionanti studi. Nel frattempo il lavoro, che si stava assopendo del tutto a cavallo del 2010, è aumentato esponenzialmente in seguito alle nostre (per me) naturali innovazioni. Un mio professore, seppur bonariamente, sorrise di tenerezza come un padre quando, in principio, gli raccontai parte dei miei piani. Riteneva il mio progetto impossibile. Non mi buttai giù e, solo pochi anni dopo, dimostrai che le mie teorie erano e sono tutt’ora corrette.

Qualcosa è cambiato

Non solo l’attività di famiglia si salvò, ma cambiò radicalmente, crebbe esponenzialmente passando dall’offerta di una ventina di prodotti basilari ad oltre duemila decisamente più tecnici, incrementando profondamente la necessità di specializzazione, il numero di servizi altrettanto specializzati, studiando nuove teorie di organizzazione aziendale, nuovi modi di fare impresa, allenando la capacità di risolvere problemi via via più complessi e apparentemente insormontabili, aumentando il livello di istruzione, facendo sacrifici immani da sentir male alle ossa come in una metaforica battaglia a mani nude, abbandonando vecchie teorie di indebitamento e finanziamento, abbandonando vecchi metodi d’ufficio, d’amministrazione, di burocrazia, di rapporto claudicante con determinati fornitori, risolvendo una quantità considerevole di problemi da sé senza attendere l’intervento di altri (che ci avrebbero portati in rovina per latenza o pur immaginabile indifferenza), utilizzando nuove logiche ricavate prettamente dalla Matematica e dalla Fisica per ciò di cui avevamo bisogno (quest’ultimo punto quasi impossibile da capire se non traducendo da soli la teoria matematica e fisica in pura pratica facendo leva sulle ramificazioni della filosofia).

Nel mezzo ho frequentato i corsi, mi sono tenuto allenato, ho studiato, ristudiato e ristudiato ancora una volta tutto il possibile e di più. Ho allargato il bacino di materie di mio interesse, le ho interconnesse, le ho applicate, le ho messe in pausa e poi ristudiate da capo. Ho solleticato il cervello e poi… e poi l’ho sollecitato di nuovo, ho studiato le sue risposte alle diverse tipologie di stressor e a diverse intensità di stress risultante, alle diverse difficoltà dei problemi, degli imprevisti e, persino, alle ore di sonno perse volontariamente per periodi di tempo definiti e controllati al fine di riuscire in attività complesse. Follia completa. Il cervello, elastico e frizzante per propria natura, iniziava ad andare come un treno a vapore dotato di consistente Quantità di moto* ed i problemi che prima apparivano come tenaci superleghe indeformabili venivano risolti e abbattuti uno a uno come fossero di fragile gesso.

*Immaginate un grosso escavatore da cava, ad esempio il CAT 797F, la sua massa a vuoto si attesta attorno alle 220 tonnellate, ovvero 220.000 kg. Può raggiungere quasi 70 km/h ovvero circa 19,5 m/s. Il prodotto tra la sua massa e la sua velocità ci restituiscono una grandezza vettoriale, chiamata Quantità di moto, la cui unità di misura è espressa in “kg per m/s”, in questo caso: 4.290.000 kg · m/s.
Immaginate ora un ciclista in volata che si muove sempre a 70 km/h (19,5 m/s) ma con una massa di circa 70kg compresi i 7kg della bici. La sua Quantità di moto, a pari velocità con il CAT 797F, è di 70 kg · 19,5 m/s, ovvero 1.365 kg · m/s (3143 volte minore del CAT).
Percepiamo inconsciamente la Quantità di moto quando, ad esempio, nell’osservare un grosso escavatore (anche di tipo commerciale presso un cantiere edile/civile lungo una strada) e un ciclista che si muovono lungo la medesima strada alla medesima velocità, il primo desta la nostra attenzione impressionandoci ed il secondo ci risulta trascurabile, ordinario, abituale.
Un cervello allenato, strutturato, denso di metodi, contenuti ed esperienze maturate, può mantenere la medesima velocità che aveva in precedenza ma aumentare notevolmente l’impatto che esercita sull’ambiente circostante quando esprime il suo potenziale.
Tratteremo successivamente in appositi articoli cosa accade e perché quando invece il cervello aumenta la propria velocità, caratteristica legata ad altro tipo di allenamento, ad altro tipo di prestazione desiderata, ad altro modello di intelligenza. La riflessività, infatti, se razionale, non è assolutamente una caratteristica negativa, tutt’altro.

Oggi lo chiamano Lifelong Learning

Una volta mi prendevano per matto, oggi lo chiamano Lifelong Learning e gli scienziati hanno dimostrato che la continua sollecitazione del cervello lo rende più “elastico” (adattabile, flessibile), “plastico” (malleabile e ristrutturabile), “potente” (prestante, con crescente capacità di acquisizione, calcolo e problem solving, variabile da persona a persona e delimitata sempre entro un proprio massimo fisico) per tutta la vita (quindi non solo in giovane età). Un cervello positivamente stimolato lungo la vita è un cervello frizzante.

C’è sempre qualcosa che, quando lo adotto in anticipo, porta chi osserva a darmi del matto. Come ad esempio il “Lifelong Learning” al quale non ho mai dato un nome ma che io attuavo come “metodo di autorisoluzione di variegate tipologie di problemi”; come le attuali “competenze trasversali” che io chiamavo personalmente “l’incrocio di temi apparentemente distanti tra loro”, come gli “edifici nZeb e Zero Energia” che io chiamavo volgarmente “case autonome”, e una moltitudine di cambiamenti interessanti che ho sovente anticipato dopo aver superato il gommoso muro beffardo delle solite critiche.

Sono solito sostenere: “Se non fai qualcosa che per te è importante solo perché gli altri non lo capiscono e non ti appoggiano, amaro risulterà quel che resta della vita”.

Strade interessanti da esplorare

Come di consueto, ogni volta, son passati gli anni e si sono accorti anche loro** che non avevo tutti i torti o, quantomeno, le strade da me proposte potevano essere interessanti da esplorare. Anche solo una rapida ricognizione sui miei passaggi sarebbe stata utile a intravedere eventuali attrazioni di un ambiente nuovo. Tuttavia pare sia necessaria una certa predisposizione della mente per attivare la virtù del dubbio, vale a dire ciò che predispone a coltivare gli approfondimenti nella vita, l’esperienza, la saggezza, la cultura non stereotipata. In più occasioni hanno attribuito un nome, generalmente inglese***, a qualcosa che facevo già da tempo, e prima respingevano, oppure a qualcosa a cui ero arrivato anche io, inconsapevole che già esistesse, e loro ignoravano totalmente.

**Chi sono “loro”? Loro sono i portavoce di parole mai comprese
***Segno di debolezza

I portavoce di parole mai comprese

Intravisto il potenziale di un’idea (generalmente più la sua risonanza in un mare di parole) si son fatti portavoce in apposite conferenze di cose che non conoscevano realmente (o sulle quali non avevano maturato l’esperienza sufficiente per parlarne come degli innovatori) e hanno affermato che la tal teoria fosse una teoria interessante da tenere “oggi” in considerazione per non restare indietro. Ma se ne sono accorti tardi, non ne conoscono le funzioni, i comportamenti, le reazioni… un po’ come un giornalista sportivo che parla abitualmente di F1 ma non ne ha mai guidata una e non si rende conto realmente di cosa significhi accelerare (anche intensamente) per sfruttare un’aerodinamica raffinata, sconosciuta, anti-intuitiva di una Fisica non quotidiana (il carico aerodinamico) quando al contrario la naturale concezione di un ordinario guidatore suggerirebbe di frenare…

Così se nel 2010 ero “matto”, oggi sono semplicemente un soggetto che adotta il “Lifelong Learning” da sempre (ma non solo). Ma che importanza ha in fondo? Quando si è presi tutto il tempo da quel che si ama fare non si ha tempo per elucubrare, ruminare, su simili discorsi.
Tuttavia, se tra quel che si ama fare c’è lo “scrivere”, sembra si generi una reiterazione assoggettabile alla matematica frattale che, a sorpresa, complica le cose tanto quanto le rende affascinanti : )
Così, tutt’al più, se ne può parlare in un leggero articolo per un poliedrico Blog stimolante come questo o per qualche pagina di un futuro Libro digestivo che possano esser utili al lettore in qualità di generatori di stuzzicanti spunti di riflessione.

Mi piace pensare: “Non si ha tempo per parlare di certe cose quando si è presi da ciò che si ama fare. Tuttavia se tra ciò che si ama fare c’è il parlare di certe cose…”.

Continua…

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Omologare il tuo prototipo di veicolo come Esemplare unico o Piccola serie – Parte 1

Rubrica: DIY – Do It Yourself

Titolo o argomento: Se hai lavorato duro forse c’è una strada per realizzare il tuo sogno

Sei un matto come me ed hai costruito (o stai progettando/costruendo) un’automobile con le caratteristiche che desideravi e che magari non hai trovato in commercio? Hai disegnato una special car o una supercar da bambino ed hai studiato ad Ingegneria tanto da apprendere come progettarla e realizzarla? Desideri omologare e targare il tuo veicolo per far fluire la tua passione lungo le strade di tutto il mondo?

Se hai studiato a fondo, disponi degli strumenti adatti di progettazione e delle attrezzature necessarie alla costruzione di un veicolo (o di partner idonei per portare a compimento un tale e affascinante progetto), forse non sei tanto matto ma, più che altro, ami cantare fuori dal coro (e sappiamo ormai che questa è una condizione necessaria per la realizzazione dei propri obiettivi e, nei casi migliori, dei propri sogni coltivati sin da bambini).

E non è tutto. Forse non lo sai ma puoi ottenere una particolare omologazione per il tuo veicolo in qualità di “unico esemplare” e, persino, ove necessario per stuzzicanti progetti, l’omologazione in “piccola serie”. Il compito non è dei più facili e richiede una forza di volontà non indifferente ma… è fattibile. E questo è l’importante affinché l’unica cosa che ti divida dal tuo sogno sia solo la tua volontà e le tue capacità progettuali. Se desideri circolare per strada con un veicolo da te disegnato, progettato e costruito, lo potrai fare a patto che questo rispetti tutti i requisiti fondamentali della Direttiva – quadro Europea 2007/46/CE.

Considerando che non stiamo citando il caso di modifiche a veicoli esistenti, quindi non parliamo di modifiche relative alle dimensioni delle ruote, né di variazioni nel powertrain (gruppo motore-trasmissione), né tantomeno estetiche, tieni conto che puoi intraprendere prevalentemente 3 tipi di percorsi sicuramente complessi, impegnativi e che richiedono un investimento economico da poche migliaia d’euro fino ad oltre 10-15.000 euro. Strade di cui vi parleremo mostrandovi tutti i dettagli ed i riferimenti con i contatti telefonici degli enti da consultare e dei loro responsabili a cui porre (con moderazione) le dovute domande (sensate*).

*E’ inutile cercare di omologare materiale costruito male, non testato, insensatamente potente, instabile, pericoloso, sprovvisto dei dispositivi di sicurezza necessari e della necessaria ingegnerizzazione.

In realtà vi è persino un 4° percorso che però non tratteremo perché è quello che prevede il passaggio mediante la motorizzazione civile. Personalmente lo considero rischioso in quanto è molto difficile reperire il personale incaricato, è molto difficile riuscire ad ottenere un’assistenza completa, è molto difficile ottenere risposte chiare, è molto difficile calcolare i tempi, è molto difficile reperire direttive precise che offrano la certezza di riuscire ad omologare “qualcosa”, con una “precisa” spesa ed in “tempi calcolati” con la stessa precisione con cui avete calcolato la rispondenza del vostro veicolo alle specifiche richieste, è molto difficile effettuare un ricorso qualora il vostro veicolo risultasse rispondente alle direttive ma non foste riusciti ad ottenerne l’omologazione, è molto difficile (e senza alcuna ragione di buon senso)… tutto. Rischiereste in sostanza di essere stati dei bravi progettisti, di quelli che mantengono la parola data e le scadenze previste e di veder scemare il vostro impegno nel vano. Non vi racconto il mio caso perché è da “scristianirsi”.

Quindi, nel seguito di questa rubrica vi riporteremo tutti i dettagli, tutti i riferimenti, tutti i contatti, tutto quel che dovete setacciare per riuscire nell’omologazione del vostro “esemplare unico” nel caso che questo sia realizzato correttamente. Sappiate già da ora che non si tratta di una follia, è assolutamente una procedura prevista dalla Comunità Europea e, rivolgendosi agli organi della Comunità Europea stessa, potete omologare il vostro sogno.

D’altra parte mi verrebbe allo stesso tempo da dirvi: “Ma chi ve lo fa fare? Avete la fortuna di aver realizzato la vostra special car o supercar esente da tasse, iva, bollo, immatricolazione, valutazioni su come fate a permettervela (certo, se ve la costruite da soli… c’è poco da verificare), andateci in pista in pace, no? Finalmente liberi… Oppure parcheggiatevela in sala, in camera da letto, davanti alla vostra scrivania a lavoro, nel giardino condominiale, in mezzo alla rotatoria che detestate (così da darle finalmente un senso)”.

Eppure un motivo per l’omologazione c’è (ragione principale di questo articolo): potreste aver desiderio di costruire il vostro veicolo esente dai “vizi” dell’attuale mercato, potreste aver desiderio di dotarlo della tecnologia che negli autosaloni costa eccessivamente o non è ancora arrivata, potreste aver trovato la vostra soluzione equilibrata tra dimensioni e massa del veicolo e powertrain installato ottenendo i “vantaggi” desiderati pur con bollo e assicurazione modesti.

Insomma se siete bravi ingegneri, bravi periti, bravi tecnici, potreste avere buone ragioni per fare qualcosa che è in vostro diritto fare.

Continua…

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La Barchetta P538 della Scuderia Bizzarrini di Livorno, sconosciuta ai novelli è in realtà oggetto di desiderio dei più sfegatati appassionati del settore.
progettata da Stefan Schulze insieme a Giotto Bizzarrini. Chi è Giotto Bizzarrini?!?!? avete presente l’auto leggenda battuta all’asta come la più costosa di tutti i tempi? La Ferrari 250 GTO? Bene è un progetto di Giotto Bizzarrini (e non poteva esserci nome più azzeccato per un’Artista, Ingegnere, Designer e Imprenditore italiano).
Realizzate il vostro sogno e fatelo sfilare…

Do It Yourself – Piccole grandi soddisfazioni: la chitarra elettrica

Rubrica: DIY – Do It Yourself

Titolo o argomento: I vantaggi inaspettati della formazione extra…

Ebbene sì, sono andato a martorizzare pure la chitarra. Non so spiegare bene ma ho come la sensazione di possedere realmente un oggetto solo nel momento in cui ho imparato a conoscerlo a fondo. Non ho mai sentito la chitarra così mia come quando sono stato costretto ad averne particolare cura, conoscendola più a fondo per smontarla in tutte le sue parti (non l’avevo mai fatto prima). Studiare anche la Meccatronica oltre la Meccanica pare stia dando inaspettati frutti. Ovviamente scherzo, la parte elettrica di una chitarra è in realtà piuttosto semplice e la Meccatronica l’ho aggiunta ai miei studi per ben altri motivi, ma pare che comunque… sia molto più utile di quanto pensassi. Certo è che più sei formato (specie sulla pratica) e più possibilità hai di essere “libero”.

Un bel giorno una levetta che mi permette di modificare il suono emesso dalla chitarra elettrica, smette di funzionare. Questa parte si chiama “selettore” e permette di scegliere quali pick-up della chitarra elettrica utilizzare. I pick-up, per intenderci, sono dei dispositivi in grado di trasformare le vibrazioni delle corde in impulsi di tipo elettrico.

Le prime volte che il selettore ha presentato dei problemi era sufficiente stuzzicarlo un po’ e si rianimava senza indugio; con il tempo, invece, ha smesso di dare segni di vita generando sguardi di ilare insofferenza nel mio maestro di musica. Dopo alcune settimane e una nutrita gamma di colorite parole atte ad esprimere l’insostenibilità della situazione, mi sono deciso e mi sono informato sui costi del ricambio e della manodopera. Ho scoperto così che il ricambio ha tutto sommato un costo contenuto (una ventina d’Euro) mentre la manodopera, giustamente, va più su. Il lavoro implica lo smontaggio di tutte le corde, l’apertura delle cover (superiore e inferiore), il dissaldamento dei cavi elettrici e la sostituzione del pezzo. La curiosità è stata più forte di me ed ho deciso di tentare da solo (con l’aiuto di un esperto radiotecnico a me particolarmente caro).

Operando una prima ispezione ci siamo accorti che il selettore non mostrava alcun danno e non era necessario sostituirlo. Grazie ad un comune multimetro (tester) abbiamo osservato che vi era continuità su tutti i suoi contatti. Il problema, ben più banale, anche se piuttosto fastidioso e ingannevole, proveniva invece dalla qualità delle saldature, alcune delle quali risultavano, come si usa dire in gergo, fredde. Ciò significa che non conducevano elettricità a dovere e, in taluni casi, non conducevano affatto. Pulite e ripristinate le sedi dei contatti del selettore ed effettuate nuove saldature, la chitarra ha ripreso a funzionare regolarmente, con nostra grande soddisfazione ed alla modica cifra di 0 Euro. Piccole grandi soddisfazioni per ogni Do It Yourselfer : )

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La continua lotta contro il sistema Italia: L’istruzione e la formazione

Rubrica: Così è la vita

Titolo o argomento: Risolvere i problemi dell’Italia da soli

Questo articolo segue da:
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L’istruzione e la formazione

E’ risaputo che in Italia la formazione universitaria teorica è ai vertici mondiali per la qualità dei contenuti, per le nozioni insegnate e per come gli studenti sono chiamati ad ingegnarsi e a trovare soluzioni autonomamente al fine di affrontare il loro percorso di studi (anche se solo in pochi riescono a trarre una reale utilità da questo terzo punto; più avanti nella lettura, infatti, vi sembrerà un paradosso che sia possibile trarre importanti utilità da un sistema che in realtà non mostra la volontà di fornire un set completo di strumenti allo studente).

E’ altrettanto risaputo però che l’Università in Italia non ne vuol proprio sapere di coniugare teoria e pratica, dotando in troppi casi gli studenti di enormi capacità teoriche ma di scarsi strumenti per portare a termine un progetto da soli concretizzandolo. Per farlo sono costretti nella maggior parte dei casi ad andare all’estero in paesi ove si verificano situazioni esattamente opposte, ovvero dove ci sono menti rigide, generalmente poco abili nel problem solving, ma molto pratiche una volta che sono instradate in una direzione valida.

Nonostante timidi tentativi dell’Università italiana di iniziare a coniugare il mondo degli studenti con il mondo del lavoro e dell’impresa, è evidente da problematiche come quelle trattate nei nostri articoli nodali (vedasi la sezione “Articoli nodali” della pagina STUDIO) che non si vuole concedere agli studenti la totalità degli strumenti utili per fare da soli. Si cerca quindi di renderli sempre dipendenti da qualcosa, da qualcuno e, prevalentemente, da realtà già esistenti che deficitano di menti nuove e che ne hanno bisogno per mantenersi in vita e non essere surclassate dai nuovi rampanti.

Come a dire, in soldoni, che si cerca la collaborazione addomesticata degli studenti piuttosto che una sana competizione con essi (la quale produrrebbe reale innovazione tecnologica e sociale, minori spese per le famiglie, migliori servizi e maggiore libertà*).

Il fatto è che solo in rari casi gli studenti brillanti (che, attenzione, non sono necessariamente solo quelli che conseguono votazioni alte, bensì anche quelli che hanno menti brillanti a 360° su una media di parametri teorico-pratici e quindi nello studio e nelle capacità necessarie a concretizzare le parole, le idee, le teorie…) trovano quello che meritano. Sto parlando ad esempio di ottimi mentori che insegnino loro i segreti del mestiere (almeno una parte introduttiva utile come avviamento di qualità salva-errori grossolani), la praticità, i metodi che l’esperienza ha fornito loro per risolvere numerosi problemi; sto parlando di una retribuzione adeguata (non immotivatamente alta ma proporzionata e rispettosa del valore fornito da una mente ad un’azienda), di un trattamento e di una stima adeguata (senza esclusione di conflitti né alimentata da teatrali perbenismi, bensì densa di esperienze di vita utili a crescere, continui confronti, eventuali disaccordi ma nel rispetto condiviso delle parti). Non che si pretendano lussi e vizi (altrimenti il rendimento, è risaputo, calerebbe drasticamente in tempi ridotti) ma almeno valorizzare e stimolare in maniera intelligente a far meglio, a dare sempre il massimo, a spostare il limite di volta in volta un pelino più avanti rendendosi conto che non si sa tutto (si può al limite solo crederlo in una fase iniziale di non completa maturazione) ma almeno l’Università (e magari prima, nel nostro caso, un istituto tecnico o professionale) avrà preparato anche alla realtà oltre che alla pura e incompleta teoria.

In Italia il confine tra il concetto secondo il quale l’Università non ti deve insegnare nulla ma ti deve fornire un’ottima infarinatura di base, affinché tu possa poi studiare da solo, ed il concetto secondo il quale invece è bene abbinare sempre la pratica alla teoria, al fine di avere una preparazione più completa che renda libero lo studente di intraprendere, è molto sottile ed equivocabile (spesso motivo di ampi dibattiti).

*Spesso ci si laurea con buoni propositi ma non si hanno gli strumenti per realizzare i propri progetti e quindi si va a lavorare per terzi. Quando si iniziano a proporre reali innovazioni ecco che arrivano le prime risposte negative, i primi “no” incomprensibili per il giovane che, in molti casi, deciderà presto di arrendersi dato che sta mettendo su famiglia, che la moglie gli chiede di non insistere, che vive la gioia di un nuovo piccolo arrivato in casa… E così, come sostenuto dal protagonista del film “This must be the place, Paolo Sorrentino, Italia, Francia, Irlanda, 2011”, Cheyenne (interpretato da Sean Penn), lo sai qual è il vero problema? Che passiamo senza neanche farci caso dall’età in cui si dice “Un giorno farò così”, all’età in cui si dice “E’ andata così”.
Il motivo dei “no” risiede, nei casi peggiori, in “giustificati” timori delle principali figure di impresa di contravvenire a precedenti accordi di mercato quali ad esempio cartelli, monopoli, alternative poco gradite, controllo della domanda e dell’offerta, ecc.

Esempi di risposte logiche

Primo esempio

Ho parlato di recente (e negli ultimi 2 anni) con diversi studenti di Ingegneria Elettronica ai quali ho chiesto di realizzare alcune schede elettroniche da integrare nei miei progetti (coniugando quindi i miei studi in Ingegneria Meccanica con i loro in Ingegneria Elettronica in una prolifica collaborazione di menti) ed ho ottenuto risposte che personalmente mi hanno spiazzato. Nonostante le loro alte votazioni mi hanno informato di non saper realizzare una scheda elettronica (nel mio caso particolarmente semplice) e alcuni hanno persino aggiunto che a loro modo di vedere non è compito dell’Università insegnarlo. Io personalmente ritengo che non si può essere laureati, magari con 110 e lode e non saper realizzare concretamente almeno le basi di quello che si è studiato. Capisco che per la massa di Ingegneria Meccanica la situazione è la medesima che per gli studenti di Ingegneria Elettronica in quanto non sanno ad esempio metter mano ad un tornio e scegliere un utensile, un numero di giri ed una velocità di avanzamento al fine di effettuare anche solo una semplice lavorazione di smusso, però… se sei veramente interessato a quanto stai studiando dovresti metterci del tuo e, non appena trovi difficoltà, poter contare sui professori più virtuosi al fine di completare la tua formazione avendo magari a disposizione un ottimo supporto universitario.

Imparare a costruire una scheda elettronica non sarà compreso nel piano di studi ma dovrebbe essere compreso nei desideri di uno studente appassionato e l’Università, a mio avviso, dovrebbe dare a costoro la possibilità almeno di un’opzione pratica. In altre parole, un corso interno per chi è interessato, un laboratorio, un’esperienza pratica di almeno qualche settimana in azienda per chi nutre questo veniale desiderio mentre sta sostenendo gli esami.

A mio modo di vedere, se c’è ad esempio una scuola per imparare a fare il pane, non è concepibile insegnare gli ingredienti, la loro chimica, le normative vigenti, l’igiene, gli strumenti necessari alla lavorazione e poi non mettere in mano un impasto al candidato per dirgli: “Bene, ora prova a lavorarlo, vedrai come si stancheranno le tue dita, i tuoi polsi, le tue braccia, le tue spalle, vedrai come si comporta il lievito, vedrai come si usa realmente un forno, come si rischia di bruciare il pane o di farlo troppo salato o deforme…”. O no?

Primo esempio – Parte seconda

Inizialmente il tentativo di dotare i miei prototipi di dispositivi elettronici su misura poteva avere solo due esiti, o la completa riuscita a fronte di spese mastodontiche** presso le aziende di settore, o il completo fallimento per abbandono del progetto. Tutti i ragazzi intraprendenti con cui mi sono confrontato mi hanno confermato che a loro è andata sempre nel secondo modo e sarebbe stato così anche per me se non avessi caparbiamente deciso di applicare un metodo alternativo anche questa volta.

Ho semplicemente (si fa per dire) preso in mano i libri dell’altro corso e mi sono messo a studiare le basi di elettronica ed elettrotecnica (la fisica e la matematica che ci sono dietro), nel frattempo mi sono procurato anche i materiali per studiare, analizzare e programmare schede atte a questo tipo di utilizzi e per costruire schede completamente nuove (decisamente più semplici) fatte interamente da me. Quindi mi sono procurato i contatti con tecnici che mi hanno fornito opportune indicazioni introduttive per la costruzione di semplici schede elettroniche (per il momento, visto che sono un principiante, solo ad uno o due layer).

Se questo può sembrare folle, controcorrente o persino sbagliato e magari, date le stravaganze di questo paese, inaccettabile, non dico che posso capire ma almeno immedesimarmi*** nei panni di chi ha altri punti di vista o altre procedure in mente, sì.

Il fatto è che in tal modo le risorse cui devo prevalentemente attingere sono le mie capacità di applicarmi e la gestione del mio tempo ma, cosa decisamente ed iperbolicamente più importante, in questo modo una potenziale rinuncia, un potenziale fallimento, si trasformano in un agognato successo. Anche parziale, lo ammetto, anche pieno di errori (sicuramente), anche completamente da rifare o impostato male, ma senza dubbio con un nuovo grosso carico di nozioni apprese, maggiore libertà, maggiore concretezza nel passaggio da un’idea al progetto finale utilizzabile dall’utente e con la possibilità, studiando ulteriormente, di migliorare di volta in volta l’intero pacchetto.

Sapere che si è stati in grado di realizzare (concretezza) una scheda elettronica che interagisce con un controller di un powertrain elettrico al fine di implementare un controllo di trazione su un mezzo che è capace di esprimere una coppia spasmodica ed aver sbagliato tante cose (concretezza) che si perfezioneranno poi (ancora concretezza) al secondo, terzo, quarto step… ha a mio avviso un valore incredibilmente più elevato del non realizzare nulla, abbandonare il progetto che rimarrà un’idea (astrattezza) e subire la frustrazione “pensando” (ancora astrattezza) che se si fosse trovato uno studente particolarmente appassionato, si sarebbe potuto fare… forse… (condizionale), oppure che se si fosse disposto di un ingente capitale (ancora condizionale)…

Ecco, diciamo che questo paese è denso di astrattezze e condizionali e sovente carente di concretezza e questo uno studente volenteroso non lo deve più accettare e può, per quanto gli compete, porre rimedio usando la sua più grande risorsa, la sua mente****.

**Giustificate dalla realizzazione di un singolo pezzo per ogni dispositivo richiesto.

***C’è stato persino chi, anche solo per un attimo, mi ha etichettato con demerito per questo senza comprendere che non era per me possibile spendere qualcosa come 7000 Euro per la produzione in pezzo unico (presso le aziende del settore) di una scheda elettronica del valore commerciale di 60 Euro. Questa, una volta testata, poteva persino risultare incompleta o errata per la nostra applicazione o, ancora, diventare obsoleta troppo presto.

****Risorsa che tanto più si allena, tanto più funziona.

Continua…

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Una delle implementazioni elettroniche ai nostri progetti prevede un semplice sistema di Traction
Control (impostabile su più livelli o escludibile) che permette di affrontare qualunque percorso
(chiuso al traffico) con prestazioni impressionanti riducendo al contempo l’impegno fisico e mentale di
guida. Dispositivi di tale attrattiva possono avere costi esorbitanti se sviluppati da terzi in piccola serie,
mentre le collaborazioni tra studenti di diverse facoltà possono risultare ben più prolifiche ma assai più
difficili da trovare per la mancanza di integrazione pratica alla teoria studiata. L’estensione del proprio
percorso di studi può permettere di annullare le distanze tra un’idea e la sua concreta realizzazione
ma richiede un enorme impegno extra ed una passione smodata.

La continua lotta contro il sistema Italia: Le infrastrutture

Rubrica: Così è la vita

Titolo o argomento: Risolvere i problemi dell’Italia da soli

Questo articolo segue da:
Vedi i “link correlati” riportati in basso.

Le infrastrutture

Molti pensano che quando troviamo le strade tutte rotte e la vettura sobbalza l’unico problema sia la perdita di comfort di marcia ed il pranzo che ci torna su. In realtà non è solo questo il problema, strade rotte significano migliaia d’Euro di spese di manutenzione straordinaria per ogni automobilista. Si danneggiano i supporti motore che devono frenare le eccessive accelerazioni verticali cui sono soggetti motore e accessori motore. Si danneggia il comparto sospensioni, ovvero l’insieme costituito da ammortizzatore idraulico, duomo (ove va bloccato superiormente l’ammortizzatore), triangolo che sostiene l’ammortizzatore dal basso, giunti, silent block (riferito agli schemi di sospensioni classici). Si danneggiano inoltre le testine di sterzo ed i cuscinetti delle ruote, per non parlare poi delle sollecitazioni che usurano in maniera anomala e precoce i pneumatici, rendono il telaio meno rigido, mandano in tilt numerose parti dell’impianto elettrico del veicolo. Ma non solo! Aumentano i consumi di carburante*, si allenta tutto l’interno dell’abitacolo (sia le parti incollate che avvitate relative al cruscotto ad esempio) innescando fastidiose vibrazioni (che si manifestano tanto prima quanto più è ridotta la qualità e la cura dell’assemblaggio del veicolo, ma questo è un altro discorso).

Senza poi considerare il cospicuo aumento di incidenti stradali dovuti alla perdita di stabilità dei veicoli, al tentativo di evitare in extremis una buca vista all’ultimo momento ed ai comportamenti sempre meno prevedibili di automobilisti che, per evitare di danneggiare l’auto, iniziano a percorrere lunghi tratti di strada contromano (specie nell’extraurbano) per evitare le buche in serie magari presenti solo da un lato della strada. Non si capisce quindi se chi in lontananza procede sulla tua stessa corsia, ma verso di te, lo stia facendo perchè in stato di ebrezza, perchè guarda lo smartphone o perchè evita più buche possibili prima di rientrare nella sua corsia.

Nel mio caso addirittura gli interi tratti tra casa e Università, tra casa mia e dei miei amici, tra casa e centro e  tra tutte le strade che portano ai principali punti di interesse della città, sono completamente, e gravemente, dissestati. Gravemente significa che il livello di danno è così elevato che una distrazione può causare un incidente mortale. Significa che percorro più volte al giorno circa 30 km di puro (e sottolineo che il termine puro non è usato come un’iperbole) fuoristrada “professionale”. Con l’aggravarsi della situazione è divenuto necessario modificare lo stile di guida, apprendere nuove tecniche, dotarsi di mezzi** in grado di reggere tali crescenti sollecitazioni e, in tutto questo, nemmeno un rimborso da parte degli organi competenti, magari con uno sconto sui bolli che anzi, continuano ad aumentare. In virtù del contrario è stata persino introdotta irresponsabilmente la tassazione piena per i veicoli d’epoca di età compresa tra i 20 ed i 30 anni, ossia quei veicoli che mai useresti su strade di questo genere, quei veicoli che rappresentato una delle più grandi passioni di questo paese.

Se ci fate caso, da che tempo e tempo, viene sempre tassato in maniera incisiva ciò che tiene in vita questo paese, ciò che lo ha reso rinomato in tutto il mondo mentre decenni di opportunisti silenziosamente lo depredavano. L’Italia è basata sulle passioni, ne ha fatto un prestigio, un motivo di orgoglio in tutto il mondo ma nemmeno queste virtù, a quanto pare, meritano un minimo di rispetto.

*L’inquinamento provocato dalle continue frenate e dalle seguenti “ri”accelerazioni per evitare buche o affrontarle a velocità moderate, è molto, ma molto maggiore, di quello che si avrebbe utilizzando il medesimo veicolo su strade sane e senza filtro antiparticolato o sistemi EGR. Ciò che realmente riduce l’inquinamento non viene curato e, guarda caso, non comporta l’acquisto di nuovi veicoli.
**Vedi il paragrafo “Secondo esempio” di seguito.

Esempi di risposte logiche

Primo esempio

Data la mia passione per le vetture e le moto prettamente da pista ed il mio interesse piuttosto limitato per i veicoli stradali, la mia risposta non è tardata ad arrivare (già diversi anni fa) privandomi della mia auto stradale. Niente più bollo, niente più assicurazione, niente più revisione, niente più mantenimento, ricambi, carburante, spese extra per danni causati dal manto stradale, niente di niente. Oltre all’immenso risparmio di denaro che ho destinato ai miei studi ed alle mie ricerche (rendendo così inutili finanziamenti e logiche dell’indebitamento), ho ottimizzato i miei spostamenti facendo a metà con l’auto di mio padre il quale la condivide con me senza problemi ottenendo in cambio tutta l’assistenza di cui necessita gratuitamente (ci guadagnamo in due). In circa 10 anni ha risparmiato oltre 9.000 Euro di spese di manutenzione ed ha risparmiato altri 40-45.000 Euro per l’acquisto di altre due eventuali auto (confronto basato sulla sostituzione media, seppur assurda, stimata attualmente dagli operatori del settore). Cifre minori, ma dello stesso ordine di grandezza, le ho risparmiate anche io grazie alla “macchina che non ho”. Ed ecco come si recuperano decine di migliaia di Euro per studiare e ricercare, con qualche piccolo sacrificio di comfort, senza “indebitarsi” e senza pendere dal consenso o meno di terzi.

Due persone, una macchina, sembra persino assurdo ai tempi d’oggi e se lo pensate (in parte) vi capisco. Per il resto mi muovo in moto e, più frequentemente, con i miei prototipi elettrici a costi che fanno ridere (senza considerare che, ciò che costruisco io (al momento solo per me stesso) non è afflitto da obsolescenza programmata. Ciò che si rompe infatti, o l’ho progettato male, o l’ho usato allo sfinimento (ho all’attivo, passati i 30 anni, ben 1 milione e mezzo di km percorsi con auto, moto, bici… praticamente ho l’endurance nel sangue). Questo per dire che, se accuso gli effetti di un disservizio, posso avere la facoltà di tagliare “legalmente” i fondi a chi quel servizio non me lo fornisce più. Nel mio caso vinco io, nel caso di molti altri, che non hanno alternative, magari per questioni di lavoro, familiari o di orari o perchè particolarmente legati alle abitudini, purtroppo non va così. L’importante è sapere che le “strade” ci sono, possono essere scomode ma regalare grandi soddisfazioni (in sostanza la tanto agognata felicità***).

***Ricordate che torna più soddisfatto a casa dalla famiglia colui che ha faticato, ha sudato, magari è stato scomodo, ma ha compiuto la sua opera, piuttosto che un uomo avezzo al non far nulla e desideroso di continue comodità. Un po’ come quando, in seguito all’attività fisica sportiva preferita, ci si sente positivamente stanchi, stanchi scaricati, stanchi rilassati, stanchi liberi.

Secondo esempio

Per garantire la mia sicurezza ho dovuto acquistare una vecchia moto da enduro che ho provveduto a rimettere a nuovo da solo (non solo perchè si tratta di una mia particolare competenza professionale ma anche per limitare drasticamente l’ammontare della spesa e, in particolar modo, per limitare “l’ingiustizia” di una spesa che non volevo compiere). L’ho acquistata con diversi acciacchi ma con il telaio perfetto e le carene come nuove. Motore, forcella, forcellone, freni, elettronica, accessori, parti arruginite, impianto di raffreddamento,  trasmissione, ecc., li ho completamente ricostruiti. Ma il tempo non si può perder così quando si ha altro di più importante da fare. La moto da corsa che usavo prima non l’ho venduta, l’avrei ritenuto un sopruso, una violenza… ma è comunque ferma e la posso usare solo in pista anche se passeggiarci per strada mi faceva, a suo tempo, un gran piacere.

Per la mia attuale moto da enduro sto costruendo un powertrain per trasformarla in elettrica/ibrida che, qualora l’Italia non volesse omologarmi, potrà circolare comunque considerato che le motorizzazioni di ben 3 stati della Comunità Europea mi hanno già confermato che lo faranno volentieri (alle volte penso che ci “schifano” proprio e quando vedono giovani che si danno da fare, ho come l’impressione che diventino quasi caritatevoli… sob. Un tempo si diceva “Meglio invidia che pietà”, oggi invece…).

Continua…

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High angle view of a pothole with two traffic cones

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