Quelli che voglion comandare

Rubrica: Così è la vita

Titolo o argomento: Un gruppo affiatato va con il vento in poppa

Un gruppo di persone può ritrovarsi a far la stessa cosa nello stesso posto, a volte per caso, più spesso perché si lavora insieme. E’ frequente che insorgano dei conflitti non appena ci si trovi davanti ad una decisione ed ognuno ritenga corretto il proprio modo di procedere e non quello dell’altro. L’armonia che fa funzionare tutto fin dal primo istante è cosa rara* ed è così molto facile cadere nel conflitto o, se ci si vuole trattenere, nei malumori nascosti destinati prima o poi a palesarsi in maniera più o meno esplosiva. Ognuno ha il suo limite di sopportazione ed ognuno inizia ad operare delle somme non appena subisce ciò che considera una scorrettezza, un colpo basso, un atto di menefreghismo, un affronto o, per chi vede il principio ovunque, una contraddizione (spesso ritenuta appositamente costruita nel tentativo di affermarsi soggetti dominanti).

*Ed è tipica delle società che viaggiano con il vento in poppa, cosa che si verifica quando la maturità sviluppata da ogni singolo del gruppo è tutt’altro che trascurabile ed allo stesso tempo omogenea in tutto il gruppo stesso.

Le doti del comando

Capita così l’assurdo, situazioni nelle quali in un gruppo ad esempio di tre persone, ognuna dice la sua non a titolo informativo, quindi per suggerire un punto di vista, ma per elargire una vera e propria azione incisiva che si scontri con le intenzioni prossime o con le azioni già avviate da altri. In un gruppo di tre persone dove nessuno riconosce le virtù, l’autorevolezza e una cospicua dose di fiducia nell’altro, lo scontro è inevitabile. Un gruppo così non funziona e, se proprio non c’è altra scelta, andrà avanti con intensi attriti che freneranno notevolmente il reale potenziale. Questo significa ad esempio impiegare 3 anni per sviluppare un prodotto che, con le persone giuste, si poteva sviluppare in 6 mesi; significa maggiori costi, maggiori perdite, maggiore stress, facile perdita di entusiasmo e, nei casi peggiori, perdere la voglia di coltivare le proprie passioni arrivando addirittura a rinunciarvi o, peggio, a detestarle. Nel branco c’è un capobranco, uno e uno solo, riconosciuto tale da tutti gli altri. Tira il gruppo, stabilisce come condurre la caccia, cosa affrontare e cosa evitare, dove muoversi, dove rifugiarsi. Ad esso si affidano tutti gli altri perchè tutti gli altri riconoscono in lui le doti del comando. Quando il suo periodo tramonta e non trasmette più la solidità che fa sentire la sua aroma carismatica, ecco che si congeda e viene sostituito da un nuovo capo branco più giovane, più forte, più coraggioso, il quale ha “dimostrato” al gruppo di che pasta è fatto, di cosa è capace e quanto possa esser affidabile nel portare a termine un compito.

Regno animalia moderno

Oggi invece questa forma di rispetto, che con il mondo animale ha abbracciato anche l’uomo milioni di anni fa, sta venendo sempre meno perchè viene sempre meno la capacità di distinguere persone valide e capaci da persone che probabilmente sono più portate per altre realtà lavorative (o sociali, o sportive, perché no). Vi è più competizione che capacità di osservazione. La maturità di saper scegliere un/una partner e riconoscere, apprezzare la sua abilità, così da decentrare un timone, se necessario, affinché si ottenga un risultato migliore, è sostituita da una immane voglia di competizione (o di prevaricazione se si superano i limiti della norma). Nei gruppi che invece hanno funzionato ed hanno fatto la storia dello sviluppo industriale del ‘900 vigeva solerte un ineccepibile rispetto senza tempo. Questi erano formati da persone che si agglomeravano per sommare le proprie capacità, ognuna aveva particolari doti ed apprezzava le doti dell’altro o non ne poteva proprio fare a meno manifestando, in un caso o nell’altro, un profondo rispetto. Ogni componente di un gruppo esprimeva diplomaticamente i suoi pensieri ma era incisivo solo su ciò che direttamente investiva le proprie competenze, gli altri facevano altrettanto. Il clima era così sbalorditivamente produttivo, sereno e di impagabile soddisfazione. Non che non ci fossero malumori di tanto in tanto o discordanze di pensiero, è umano averne, era l’approccio a queste situazioni ad esser differente permettendo così di andare avanti anziché star fermi o girare in circolo attorno ad un inutile problema che non poteva risolversi da solo.

Personaggi d’altri tempi

Sto leggendo e ascoltando sempre più spesso racconti di persone di 60 70 80 anni (e oltre) che hanno reso celebri, con il loro contributo, rinomate aziende italiane oggi venerate più per i prodotti del passato che per quelli attuali spesso classificati come omologati e privi di personalità. Quella personalità del passato che ci ha fatto brillare in tutto il mondo quando le persone di buona volontà si mettevano in gruppo e davano vita a qualcosa di unico, inimitabile, come l’anima di una persona. I loro prodotti prendevano vita e la soddisfazione pagava più del denaro. Oggi stiamo perdendo queste peculiarità a favore di un individualismo virale di cui diventiamo sempre meno immuni e che non ci porterà a nulla. Tre persone a comandare nella stessa stanza, nessuno che viene comandato; tre capi, nessun operaio; tre teste, nessuno esegue… ed i lavori lì fermi in pausa strazio mentre le perdite economiche crescono rapidamente e l’orgoglio rimane fine a sé stesso.

La rotta del singolo

Ci vorrebbe a mio modesto avviso, all’avviso di uno che non è perfetto**, sbaglia e talvolta cade in queste situazioni, un gruppo formato da persone con capacità tangibili ognuna nel proprio ramo e dotate di sufficiente maturità da riconoscere le abilità degli altri. Così come ci vorrebbe che ognuno dimostrasse con il proprio operato di saper far bene quanto dice affinché gli altri ne abbiano un riscontro evidente. Le richieste di opinioni anche sull’altrui operato non tarderanno poi ad arrivare e questo succederà quando si sarà conseguita la piena coscienza di rispettare gli altri, affidarsi agli altri, condividere con gli altri e dividere con gli altri i frutti. Muovere sulla rotta dell’individualismo, della sopraffazione, della prevaricazione sta portando secondo me solo ad una pura agonia priva di qualsivoglia risultato ma densa di stressante fervore. A stento sorge qualche nuovo colosso qualche nuova filosofia, concept. Assistiamo alla riaffermazione ai più alti livelli sempre e solo dei vecchi dinosauri e tutti quelli in gamba cosa aspettano a conquistare il mondo di diritto? Ora è il loro turno ma in troppi si lasciano suggestionare dai messaggi inondati dai mezzi comunicativi della nostra società contemporanea che ci suggeriscono “Perchè farne un’altra? Mettiti con noi che siamo già grandi! Da solo con i tuoi amici non riuscirai mai!***”. Ma chi lo dice? Chi ha paura di esser battuto, semplice.

**Ma che almeno se ne rende conto cosicché sia possibile mutarle.
***Grandi a modo loro, grandi su principi diversi, grandi con obiettivi diversi talvolta giustamente grandi tali altre volte meno.

Quando la radice distrugge il cemento armato

Poi succede che due giovani neolaureati di Ingegneria con una passione spasmodica per la tecnica e per il volo riescano, con il fondamentale aiuto di un imprenditore privato, a realizzare in un bel colpo gli aerei classificati come i più maneggevoli al mondo, dotati della particolarità di un telaio monoscocca più unico che raro e che i maggiori costruttori di aerei del mondo, guarda un po’, non avevano fatto. Sto parlando dei ragazzi di BlackShape Aircraft che personalmente non conosco e di cui ovviamente non posso giudicare l’operato dall’interno, ma di cui ho apprezzato molto quello che ho potuto osservare dall’esterno come tutti voi. Per citare un bel nome del passato invece, ho il piacere di scrivere “Olivetti”, capisco che oggi non vi dica molto ma, se sapeste cosa sono stati in grado di fare in passato e come hanno fatto tremare il mondo “quelli di Olivetti”… Si parla sempre di Steve Jobs e del suo rivale ma non si parla mai abbastanza di Olivetti e di quel gruppo di uomini che, a dispetto di quanto molti credono, sono stati i precursori del mondo informatico di oggi, largamente temuti da realtà come gli Stati Uniti d’America. Andate a leggere qualche libro sul tema, non voglio anticiparvi nulla. E se ancora avete qualche dubbio su quanto può fare anche solo un ristretto gruppo di uomini di buona volontà, rispettosi gli uni degli altri, dovreste cercare la storia delle imbarcazioni Lillia e scoprire come, coloro che prima erano derisi perchè costruivano barche da competizione nel retrobottega di una macelleria, hanno poi distrutto un record dopo l’altro conquistando il mondo e riempiendo addirittura interi podi da soli.****

****Pensate che acutezza, capacità, rispetto e umiltà potevano mai avere coloro che li hanno derisi.

Il principio di prevaricazione si basa su un soggetto che è in grado di imporre il suo pensiero e le sue volontà non perchè queste sono comprese o largamente condivise, accettate ed utili, ma perchè egli ha la forza, i mezzi e gli strumenti per affermar sé stesso e poter dire: “Si fa così perchè l’ho deciso io e basta”. Costui riesce ad andar avanti vincendo gli attriti come un complesso motore ben lubrificato piuttosto che come una semplice palla in discesa. Ha quindi gli strumenti per aver ragione nonostante le complicazioni.

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Forza della natura

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Ti diranno di condividere

Rubrica: Spunti

Titolo o argomento: Condividere? Giustissimo, ma bisogna saperlo fare e tutelarsi
Chi ti dirà di condividere?

Gli stessi uomini attualmente “gravitanti” attorno ad aziende che in passato hanno avuto fortuna grazie al genio di una persona la quale, singolarmente o con un piccolo team di fidati, è riuscita a realizzare i propri progetti*, oggi ti diranno che c’è bisogno della folla (crowd), della partecipazione e della condivisione di idee perchè da solo non puoi far nulla. Gli stessi che oggi sono forti per aver fatto l’esatto opposto. Gli stessi che oggi sono carenti di idee e vedono spegnersi aziende che hanno fatto il loro tempo ed hanno bisogno che tu fornisca nuova linfa con un modo semplice, regolare, legale e legittimato dalle tendenze in voga sul web. Gli stessi che non vogliono assumere i giovani ma che senza di essi sono inermi perchè, nonostante costose consulenze, non sanno come è cambiato il mondo e non riescono ad interpretarlo perchè il cervello è rimasto lì, agli anni ‘50, ‘60, ‘70, ‘80…

*Cambiando nettamente il proprio percorso di vita.

Condividere, a quali condizioni?

Così aumentano rovinosamente i casi di chi si prende il tuo profitto se la tua idea ha successo (del resto, se hai seguito iter standardizzati, non hai ottenuto quel tipo di successo con i tuoi mezzi; l’istruzione che hai ricevuto non ti diceva come fare**, eh…) e ti chiede di pagare di tasca tua (magari perdendo una proprietà, la casa, o ciò che hai offerto come garanzia, in ogni caso la tua vita decente) se il successo non arriva. Bella la condivisione così!
Mi riferisco in particolar modo a quelle realtà di connubio tra studenti universitari e particolari aziende che vivono troppo di immagine e poco di sostanza, tra giovani studenti/imprenditori e certi tipi di incubatori che purtroppo raccontano vere e proprie favole, tra giovani studenti/imprenditori e realtà che fanno da tramite per l’ottenimento di finanziamenti, fondi perduti e sostegni vari (destinati a chi vuole contribuire con le sue idee ad innovare il nostro paese) ma vogliono in cambio i progetti dettagliati dei tuoi prodotti e dei concept (cosa che nessuno ti chiede quando trovi realtà davvero serie e professionali che ti sostengono o se sei preparato e sai come si accede direttamente a questo tipo di sostegni economici destinati alla ricerca ed all’innovazione).
Di tanto in tanto le realtà, per così dire… non lineari, si uniscono e generano un evento il cui manifesto d’attrazione è ricco di parole importanti dense di significati accattivanti ma le quali, dietro opportune analisi, approfondimenti e accertamenti, vanno poi a ridursi in una povera fievole essenza che evaporerà di lì a poco.

**Al di là del fatto che comunque non vi è un manuale seguendo il quale si riesce nelle proprie idee ed al di là del fatto che viene lasciato poco spazio al genio creativo dei giovani italiani, è importante che l’istruzione fornisca di volta in volta anche gli strumenti extra richiesti da coloro che partoriscono costantemente particolari idee.

Eventi ambigui

Così potresti ritrovarti, come mi è accaduto di recente, ad un evento al quale eri andato per imparare “come si fa” (ad es. nuove frontiere sui brevetti, strategie e metodologie di brevetto) e dove invece vedi oratori che sondano proposte e idee di chi, ingenuamente, non si rende conto di che leggerezza sta commettendo davanti a professionisti presenti, per conto delle aziende in cui lavorano, a prendere freneticamente appunti. Potresti vedere idee prese, stese, spanse, girate e rigirate, pressate, riformate e date in assaggio a tutti come fossero l’impasto di una prelibatezza. E tra coloro presenti in sala… chi dispone già di strumenti, personale, strutture, collegamenti, ecc., utili per cucinare rapidamente il nuovo gustoso manicaretto del momento?
Inoltre è sconfortante vedere esempi di idee scaturite da giovani brillanti ed elaborate da dinosauri, essere infine messe in mostra su brochure con numerosi loghi in evidenza che si fregiano di esser stati autori di innovazione (casomai “portatori”, “mediani”, “tramite”…), ma del cuoco, unico vero innovatore, prioprio non v’è traccia se non uno pseudonimo sconosciuto che nessuno noterà accanto a dei giganti e che potrebbe ben presto sparire perchè molte start-up, ahimé, hanno vita breve. Così il piccolo studente/giovane imprenditore (il cuoco) che nessuno conosceva prima e che solamente qualcuno conoscerà dopo (del resto quei loghi sul depliant faranno sempre pensare prima ad altre realtà che ad un perfetto signor nessuno -siamo tutti troppo parte dei complessi sistemi di immagine e suggestione moderna-) otterrà quisquillie in cambio di un aumento vertiginoso di prestigio per coloro che di vera innovazione non sanno proprio nulla e, con molta probabilità, non ne hanno mai capito nulla. Essere furbi è ben diverso da essere intelligenti, molti confondono i due significati ma vi esorto a sfogliare un buon dizionario della prestigiosa lingua italiana.

Oltre l’assurdo, pagare per lavorare

Davvero un’idea geniale se si pensa che si è riusciti negli ultimi dieci anni e più ad indurre tramite il web la gente a condividere***, volenti o nolenti, informazioni preziosissime gratuitamente. Sovente anche peggio di gratuitamente. Peggio del lavorare gratis esiste infatti il lavorare a pagamento o, come potremmo dire oggi, con piccoli costi aggiuntivi. Hai offerto la tua opinione ad esempio su un paio di scarpe? Ci hai speso del tempo? Quest’opinione è stata utile per produrre un migliore modello di scarpe? Ora ti piacciono di più e le acquisterai? Benissimo, stai pagando un prodotto per il quale sei stato tu a fornire la soluzione ad un problema. Hai pagato la soluzione che hai offerto invece di essere ripagato per il tuo contributo. Non ti sembra esserci qualche dislivello? Questo è solo un banale esempio di un mondo molto più articolato al quale, in misura diversa, partecipiamo tutti anche solo accendendo un gingillo elettronico.

*** Se anche pensi di non averle fornite ma disponi di un account su qualche social network o di sistemi di statistiche e benchmarking web, cloud, app per smartphone e tablet… fidati che di “dati ne hai dati”.

Condivisione chiara

Tutt’altro è il discorso per coloro che hanno realizzato progetti in “CrowdSourcing non necessariamente volontario” o, persino, mediante il CrowdFunding) dicendolo chiaramente fin dall’inizio. I partecipanti mettevano il loro genio creativo, il loro contributo conoscitivo o un piccolo sostegno economico, sapendo fin dall’inizio cosa si era chiamati a fare e dove si voleva andare a parare con la tale idea. Questo non può essere equiparato, come vi scrivevo poco prima, ad aziende che, con artificiosi giri di conferenze, scrivono sui manifesti che promuovono i loro eventi, paroloni interessanti che attirano i giovani che vogliono imparare, e poi alla fin fine chiedono a te se hai qualche idea e ti esortano a condividerla cercando di metterti soggezione con la scusa: “Tanto da soli oggi non si può far nulla, ci vuole collaborazione!”. Sì è vero ci vuole collaborazione… ma i confini dei significati delle espressioni e delle parole in esse contenute sono sempre molto sottili e le leggi (che tutelano chi le conosce bene) sono letteralmente affilate. Nel seguito di questo articolo chiariamo quali sono questi confini, starà poi a voi decidere, essere strateghi, circondarvi delle persone giuste, saper uscire fuori dal coro… : -)

Continua…

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Superconduttori e supercomunicatori: l’arte penetrante della comunicazione
Superconduttori e supercomunicatori: dalla scienza esatta all’irrazionalità del dubbio

L’alternativa che manca dimostra che non c’è democrazia
Sì ti finanzio, ma preferirei che tu…
L’algoritmo del cuculo

Incubare, avviare, startappare… Parte 1 – Coltivando la piantina
Incubare, avviare, startappare… Parte 2 – Il manuale non esiste
Incubare, avviare, startappare… Parte 3 – Manie di grandezza
Incubare, avviare, startappare… Parte 4 – Ossessioni. + VIGNETTA

Ancora questionari sull’imprenditoria giovanile… 1 – Innovazione
Ancora questionari sull’imprenditoria giovanile… 2 – Problema endemico
Ancora questionari sull’imprenditoria… 3 – La mia esperienza con gli incubatori

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Image’s copyright: ww2.valdosta.edu

L’algoritmo del cuculo

Rubrica: Metodi. Alternative lifestyles, work and study
Titolo o argomento: Fenomeni “asocial”

L’uccello denominato Cuculo (della famiglia del Cuculidae) nessun legame significativo ha con quanto verrà espresso in questo articolo se non un’assonanza del suo nome con quella di un altro termine più colorito. Tale espressione è stata adottata durante un convegno reso noto da un altrettanto noto comico italiano per via dei discorsi diversamente logici espressi. Se dopo questa breve ed atipica introduzione siete confusi, non vi biasimo… se siete anche incuriositi procedete pure con la lettura. E’ interessante.

Sminuire il problema

Sovente se parlate con qualcuno di un vostro problema costui tenderà a sminuire, a sdrammatizzare ed a chiudere il discorso il prima possibile passando ad altro o esordendo con frasi fatte. Risultato, non avrà capito nulla di ciò che stavate dicendo e nemmeno gli sarà interessato saperlo. Alcuni oratori, portatori di teorie discutibili, sostengono ai loro convegni che parlare dei propri problemi allontana la gente e che quindi questo non va mai fatto se si vuole aver successo. Castroneria a mio avviso assoluta e non costruttiva. Evitare di parlare di un problema è un comportamento che permette solo di far diffondere maggiormente il problema stesso prima che questo venga in qualche modo recepito e affrontato dalla collettività. Ritardare la comprensione e la risoluzione di un problema serve prevalentemente per mantenere un certo disordine talvolta sociale, talvolta economico. Insomma, finché non sapete come difendervi da un comportamento opportunistico, l’opportunista potrà continuare ad alimentare i suoi profitti.

Vergogna e timori complici della chiusura in sé

Oggi la gente tende persino a non raccontare i “bidoni” che prende, da un semplice sottocosto di materiale di seconda scelta ad un pseudo-affare immobiliare. Lo fa per vergogna, per paura dei giudizi, per timore di essere classificata in malo modo, definita tonta. Invece cadere in un “tranello” è umano, ci può cadere l’ignara signora Maria così come un genio in buona fede. E’ semplicemente umano. “La soluzione non sta nel non parlarne, la soluzione sta nell’essere capaci di parlarne nel modo giusto”. Parlarne aiuta la lineare diffusione di una sorta di vaccino alla tal fregatura. Parlarne aiuta il sistema immunitario economico-sociale di una città, una regione, un’intera nazione. L’attuale superficialità nei rapporti porta quasi sempre le persone che hanno ignorato un problema ad averlo comunque prima o poi, non di rado persino in forma ulteriormente aggravata. Spesso particolari problemi quali truffe o comportamenti opportunistici, riescono a dilagare perchè la gente non ne parla con il timore di fare una pessima figura o, peggio, di essere considerata negativa, persino polemica ed essere allontanata dalla “folla”, dal “mi piace”, dall’ “amico” o dal “follower”.

L’individualismo dell’italiano

In effetti ci sono luoghi dove questo fenomeno esiste e si fa sentire. Per esempio la provincia dove vivo possiede endemicamente questa peculiarità (anche se questo non vuol dire che sono proprio tutti cosi, più che altro una fetta non trascurabile) secondo la quale si viene elegantemente emarginati da un gruppo se si espone un problema in cerca di un accenno di umanità. Inizialmente si prova a parlare e si può semplicemente esser sminuiti. Ben presto poi ci si accorge dell’individualismo italiano, si genera una sorta di imbarazzo, nessuno è capace di offrire il suo sostegno se non quei rari e preziosi amici più intimi (oggi considerati specie protetta in via d’estinzione) che oltretutto, con i tempi che corrono, potrebbero essersi trasferiti altrove, magari dall’altra parte del mondo. Così te la devi cavare da solo con il sovrappeso della singolarità. Parlare di un problema non è “in”, non è “cool”, non è “fashion”, non è “glam”… non è di “moda” mai. Un mio amico, Stefano, che affronta con piacere questo tipo di temi, mi ha spiegato, essendo un educatore di professione, che questi comportamenti scaturiscono dalla “paura”, paura di rimaner fregati dall’altrui problema, paura di rimaner coinvolti dall’altrui problema, paura di venir contaminati. La specie animale, l’uomo compreso, per natura ha paura di ciò che non conosce.

I problemi si cibano di menefreghismo

C’è però un rovescio della medaglia piuttosto consistente. Quando determinati problemi poi incombono su coloro che vi sminuivano, ignoravano, emarginavano, ecco che il colpo è più intenso, improvviso ed a freddo causa necessariamente una frantumazione da fragilità che può portare a capire (ma non è detto, l’ottusità è sempre fertile) che se si fosse ascoltato, si fosse stati vicini, si fosse realmente condiviso un supporto morale, si fosse anche imparato dai problemi altrui, dai racconti altrui, dalle esperienze altrui, forse non ci si troverebbe immersi in un disastro a senso unico e senza sbocco dal quale ormai non si può più uscire.

L’importanza di un semplice comportamento: ascoltare, sostenere e condividere

Molti sono coloro i quali, in oltre 1300 articoli, mi hanno chiesto dove avessi tratto così tanti spunti per innumerevoli argomentazioni nonostante la mia giovane età. Non ci sono trucchi o segreti, c’è la semplice voglia di ascoltare, il desiderio di capire. Fin da piccolo ho avuto la fortuna di incontrare migliaia e migliaia di persone grazie ai lavori di cui si occupavano i miei familiari più vicini e ascoltare tutte le loro storie. In principio non ne avevo nemmeno voglia, devo essere onesto. Ero bambino e mi interessavo solo del gioco che stavo facendo, degli amici, della bicicletta, del pallone, dei posti che esploravo tra i campi dove mi riempivo di terra. Ma poi si cresce e non si può tentare in tutti i modi di far finta che ciò non sia avvenuto. A volte poi, lo ammetto, certe situazioni sono davvero pesanti e vorrei non ascoltarle. E’ normale staccare anche la spina di tanto in tanto, tapparsi le orecchie e lasciar scorrere tutto così com’è. Non possiamo assorbire le situazioni che provengono da ogni direzione e farle nostre specie se non si tratta di rapporti intimi o che in un modo o nell’altro ci circondano e ci coinvolgono direttamente, altrimenti la vita diventa impossibile così come il continuare ad essere ottimisti o in qualche modo positivi. Ognuno dovrebbe curarsi semplicemente di ciò che lo circonda da vicino, questo genererebbe una reale connessione proprio come una struttura geodetica fatta di esagoni e pentagoni. Ogni giunto si occupa dei tubolari che ha intorno e li sostiene; se tutti i giunti fanno il loro dovere, la struttura sta su e si erge robusta e affidabile. Ma se uno o più giunti non vanno, ecco che la struttura inizia a traballare e rischia il collasso.

Logiche a confronto

Quando qualcuno mi parla di un problema io cerco subito di ascoltare, fare domande, interessarmi, conscio che molto probabilmente io non potrò risolvere quel problema ma potrò da un lato “esserci” (che per l’uomo si trasforma già in un sollievo) e dall’altro capirne le dinamiche al fine di trarne un’esperienza utile per me e per gli altri. Di seguito vi propongo alcuni semplici schemi per altrettanto semplici confronti.

Algoritmo del cuculo: non parlare dei tuoi problemi -> sei visto così più positivo -> la gente ti sta intorno -> hai successo.

Algoritmo del cuculo comprensivo dei retroscena: non parlare dei tuoi problemi -> sei visto così più positivo -> sei solo in mezzo alla folla -> il problema prende il sopravvento su di te e ti logora -> il problema cresce e si espande principalmente verso chi lo ignora (la folla non conosce il problema, la folla cade nello stesso problema) -> il finale è preannunciato e l’opportunismo di terzi ha strada più libera.

Algoritmo razionale: parla dei tuoi problemi nella misura dovuta -> le persone non idonee si allontaneranno da te -> le persone di valore ascolteranno quanto hai da dire e impareranno in cambio del sostegno -> le persone di valore eviteranno di cadere nello stesso problema -> lo stare vicino ad una persona ti avrà ripagato con esperienza che in molti casi può fare la vera differenza -> la collettività affronta nuovi problemi, invece di rimaner ferma agli stessi, e si evolve.

Precisazione

Ovviamente questo non significa che si deve persistentemente ossessionare l’esistenza di chiunque piangendo miseria. E’ sufficiente un solo allarme per far recepire il vostro segnale a chi ha orecchie per ascoltare. Dall’altra parte invece non significa che ci si debba trasformare in avvoltoi pettegoli a caccia di prede da commiserare per sentirsi migliori e più felici a scapito di…, oppure stare vicino a qualcuno per trarne dei vantaggi personali. Si tratta sempre di trovare un equilibrio umano la cui legge è molto semplice: Come vorreste che si comportassero gli altri intorno a voi se qualcosa di insolito vi capitasse? Ecco basta questo. Significa semplicemente che quando un vostro amico, conoscente, collega vi viene a raccontare qualcosa che lo turba, allarma o appesantisce, voi potreste essere più disponibili sapendo che la moneta per voi sarà l’esperienza e l’affetto di una persona. E’ così che le cose poi vanno in modo positivo. Sicuramente non ignorandole fingendo che non ci siano, questo è davvero un insegnamento pessimo.

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Ognuno dovrebbe curarsi semplicemente di ciò che lo circonda da vicino, questo genererebbe
una reale connessione proprio come una struttura geodetica fatta di esagoni e pentagoni.
Ogni giunto si occupa dei tubolari che ha intorno e li sostiene; se tutti i giunti fanno il loro dovere,
la struttura sta su e si erge robusta e affidabile. Ma se uno o più giunti non vanno, ecco che la
struttura inizia a traballare e rischia il collasso.
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Quelli che non vogliono dire grazie

Rubrica: Così è la vita

Titolo o argomento: Quelli che non vogliono dire grazie

Tempo fa ho conosciuto una persona, una bravissima persona, con un’inclinazione piuttosto strana, non chiede mai aiuto agli altri. Costui evita tutte le situazioni in cui potrebbe trovarsi a dover chiedere e cerca sempre di fare solo quello che può riuscire a far da sé. In questo modo non cresce, non riesce ad ottenere di più di quello che ha, a costruire qualcosa di utile, a migliorare la sua condizione e progredire. Tutto questo anche se le occasioni non gli mancano e nonostante possieda diversa materia prima per dar vita a molte idee professionali così come a fruttuosi e costruttivi baratti (spazi privati idonei all’uso agricolo e/o artigianale, piccole ma valide proprietà, buone attrezzature per l’agricoltura, attrezzature di base per la carpenteria, la lavorazione del ferro e del legno e di prodotti agricoli, conoscenze tecniche professionali, competenze, spunti di partenza notevoli, ecc.).

Insomma tutte cose che, se te le ritrovi per un motivo o per l’altro semplicemente aprendo una porta la mattina, possono darti modo di “partire” subito ed effettuare anche solamente dei semplicissimi baratti con chi ha altre competenze e/o possiede altre attrezzature. Per non parlare poi delle brillanti occasioni, non necessariamente a sfondo imprenditoriale dominante, di dar vita a realtà di studio e ricerca come già avviene per gli apicoltori più preparati, gli agricoltori biologici, i produttori di latticini e salumi a filiera corta, e via discorrendo.

Ma qual è il motivo per cui questa persona rinuncia da una vita alle opportunità che gli si prospettano ogni giorno*? La risposta non è una mia supposizione ma la risposta realmente ottenuta dalla logica domanda, appena citata, posta a questo signore. Perchè non vuole dire grazie. Ogni singolo favore che gli viene rivolto da chi gli vuole bene, anche dai più intimi, lo retribuisce con moneta. Non vuole mai sentirsi in debito, teme vivamente questa situazione e crede che lo possa mettere in una condizione di inferiorità o incastrarlo in situazioni dalle quali sostiene di non poter venir fuori senza noie. Non comprende come possa esser bello avere bisogno degli altri e ricevere una mano da persone che spontaneamente, con il loro contributo, non farebbero altro che dimostrargli il loro affetto. Si priva così di una conferma che per molti altri invece è vitale e li fa sentire apprezzati. Con questa persona si potrebbero realizzare belle cose insieme ma il fatto che lui non voglia mai avere l’aiuto delle persone a lui vicine porta quest’ultime ad evitare di chiedere la sua collaborazione.

Risultato? Tutti fermi come dei tonti nonostante ci sia il potenziale di realizzare qualcosa di buono insieme, qualcosa che ti fa sentire stanco la sera ma allo stesso tempo soddisfatto e appagato, tutti fermi nonostante ci sia modo di aiutarsi e di sostenersi vicendevolmente con strategie che, specie di questi tempi, farebbero risparmiare denaro ad entrambi (si veda il caso dei condomini che condividono un unico allaccio all’ADSL e la pagano una sciocchezza al mese, oppure quegli agglomerati di villette, ancora rarissimi in Italia, che condividono uno Smart Grid indipendente dalla rete di distribuzione dell’elettricità).

Altro risultato? Quasi tutto quello che fa va in perdita o non produce per quello che è il reale potenziale. Non conta infatti un quintale di mele in più (ottenute magari con l’abuso della chimica…) come può esser naturale pensare, bensì la capacità di cogliere opportunità per creare situazioni, occasioni ed aspettarsi cose nuove che prima non si immaginavano minimamente. Conta la capacità di saper vivere senza schemi rigidi evitando così la “vita a memoria” che tanta apparente sicurezza sembra offrire ma che tante affascinanti sfaccettature della vita fa perdere. Così le attrezzature si arrugginiscono, le mura invecchiano e marciscono. Niente rende e niente è florido. Non si generano occasioni e opportunità, tutto quello che mantiene gli costa un patrimonio quando invece gli basterebbe collaborare con le persone più vicine e fidate che ha intorno (ma delle quali in realtà non credo si fidi) per trasformare la decadenza in fertilità. Contento lui…

*E’ proprio vero che chi ha il pane non ha i denti : )

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Alcuni penseranno che dire grazie sia tutto sommato facilissimo specie a fronte degli innumerevoli
vantaggi che trarrebbe questo mio amico, in realtà quando si hanno certi blocchi mentali la
difficoltà è enorme. Un po’ come quando ci imbattiamo in quelle persone che non chiedono
scusa e non ci riescono perchè sarebbe come un attacco al loro orgoglio ed alla loro solidità.
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