L’illusione di una nuova vita all’estero

Se andate all’estero per opportunità di ricerca, di accrescimento professionale, per fare esperienza, per cambiare aria per un po’, o perchè avete trovato un lavoro dignitoso ma è viva in voi l’idea di tornare in patria per fornire il vostro contributo partecipativo, ben venga. Se andate all’estero perchè non ne potete più dell’Italia e non vi passa nemmeno per l’anticamera del cervello di tornare, vi capisco. Se andate all’estero perchè pensate di aver risolto i vostri problemi per sempre allora non sono d’accordo con voi.

Mi turba l’idea che il messaggio sempre più frequentemente trasmesso ai giovani, attraverso vari mezzi di comunicazione, sia quello contenente una spinta ad andar via perchè là fuori tutto è meglio purché non si chiami Italia. Sono stati messi in mostra stipendi fissi, serenità, scatti di carriera e belle piazze di paesi stranieri piene di giovani, studenti dell’Erasmus, turisti e vita in movimento, senza però spiegare come ciò sia possibile e come funzioni il meccanismo.

Ad esempio ho sentito dei ragazzi sostenere, in un’intervista di uno speciale sul tema, che ora che sono andati all’estero finalmente prendono uno stipendio fisso. Sicuramente una bella cosa, non c’è dubbio, però sarebbe opportuno sottolineare più volte come, per esempio in certi paesi dell’est Europa, gli stipendi siano piuttosto bassi ma permettano comunque di vivere dignitosamente perchè il costo della vita è moderato rispetto al nostro. Non appena i cicli economici “carichi di attriti” porteranno un aumento del costo della vita, quelle poche centinaia d’Euro al mese a nulla serviranno anche lì. Quello che più di valore rimarrà sarà senza dubbio il mestiere imparato e l’esperienza maturata.

Altra cosa che non viene debitamente sottolineata è che in diversi paesi considerati vantaggiosi per i giovani Italiani, gli scatti di carriera non comportano alcun aumento di stipendio (o aumenti dell’ordine di pochi Euro). I giovani Italiani sono disposti ad accettarlo all’estero, quando qui non lo farebbero (o quantomeno assolutamente non volentieri), solo perchè comunque lo stipendio è fisso.

Breve digressione. Fisso o considerato tale, la crisi degli ultimi anni dovrebbe averci fatto capire che nulla è per sempre, nulla cresce per sempre e davvero tutto può succedere. Inutile citare coloro i quali nonostante il contratto a tempo indeterminato hanno perso il lavoro di cui erano certi e, avendo un mutuo, hanno perso la casa subendo una batosta anche maggiore di chi il mutuo non lo aveva ottenuto. Massimo rispetto ovviamente, però questo sottolinea come anche il posto considerato sicuro non fosse in realtà tale (forse era solo un po’ più sicuro). Noi giovani però non lo potevamo sapere anche per via di un’istruzione servita con le pinzette; quanti onestamente nel 2008, una volta ottenuto il contratto a tempo indeterminato, hanno pensato: “Adesso posso ottenere un mutuo, sì ma se l’azienda chiude?”. Diciamoci la verità si tendeva a credere che fosse impossibile per un’azienda chiudere, tantomeno per aziende con nomi di un certo rilievo, e invece… sono stati i primi (a volte le apparenze e le suggestioni…).

Senza dubbio in certi tali paesi dell’est Europa le differenze sociali sono minori e sicuramente questo contribuisce a tenere le persone più unite tra loro e maggiormente in grado di influire sulle direzioni prese da chi gestisce il paese. Ma se sei italiano, se le tue radici sono qui, a quale causa potrai unirti, e con quali legami, in un paese che a stento sa chi sei? Quindi minori differenze sociali, sì, uno stipendio fisso, è molto probabile, scatti di carriera, ben vengano, ma di cosa sarà importante tener conto sull’altro piatto della bilancia?

Se non guardiamo solo l’est Europa, bensì l’intero mondo, si può fare un’osservazione piuttosto interessante. Ho costantemente contatti in gran parte del mondo e sto volentieri a sentire quello che queste persone (studenti, professori, professionisti, tecnici, lavoratori di vario genere) mi raccontano. Alcune di queste persone sono anche italiani emigrati. Ebbene sento costantemente di persone che dall’Italia partono e vanno in Germania perchè lì hanno trovato una soluzione migliore per loro (ed è vero, non ci sono dubbi, ma sono le condizioni al contorno che vanno osservate, tra un momento ci arriviamo). Per questioni di lavoro tratto poi con diversi professionisti in Germania che mi dicono che la situazione è brutta anche da loro e stanno pensando di andarsene più su… in Inghilterra (la maggior parte di questi mi parla di Londra come potrete immaginare). Quando parlo con clienti o professionisti di Londra indovinate cosa mi dicono? Del resto il mondo è una sfera e teoricamente si può andare “su” all’infinito.

Così parlandoci un po’ meglio si scopre che l’italiano che era abituato ai 1000 Euro al mese, e che con la mastodontica crisi globale rischia a stento di prenderne la metà, è ben lieto di prenderne 1000 – 1200 al mese in Germania al posto del lavoratore tedesco che prima era abituato a prenderne 2000, 2500 o addirittura oltre 3000 e che ora sta cercando a sua volta una soluzione altrove per contenere le sue perdite. Andando più su magari il lavoratore londinese audace tenta la svolta andandosene in Scandinavia, in Canada, in Cina o addirittura in Australia per sviluppare i suoi progetti. E così via.

Quello che mi colpisce è che c’è sempre uno che si accontenta del lavoro che l’altro non è più disposto a fare per una cifra sempre più bassa. Ognuno tende a mantenere le sue vecchie abitudini. Questo il mercato lo sa, impone le sue condizioni e qualcuno le accetta sempre. Il costo del lavoro ciclicamente si abbassa per dar vita ad una nuova era di ripresa (o pseudo tale). Un po’ come il meccanismo dell’Italia del dopoguerra in cui la gente povera ridotta alla miseria e reduce da un conflitto drammatico accettava la bassa retribuzione del lavoro, chinava la testa e giù a produrre offrendo alle nostre aziende una competitività spaventosa a livello mondiale.

In definitiva non credo ci sia una soluzione che sistemi tutti e metta a posto i giovani per sempre (del tipo posto fisso, mutuo sicuro, prospettiva di vita senza pensieri), come invece i nostri nonni ci hanno abitutato a credere venendo da un’Italia dove, fino ad alcuni decenni fa, questo era stato possibile a spese di un estremo futuro indebitamento (all’epoca sconosciuto ai più). Un indebitamento che oggi influisce pesantemente assieme a tutta un’altra serie di gravosi debiti che teoricamente dovremmo pagare noi. Quindi più che desiderare una soluzione che ci possa far adagiare sugli allori, dovremmo esser in grado di cercare di volta in volta ciò che è meglio per noi pur restando sempre vigili e coscienti su ciò che ci accade intorno.

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E’ il nuovo arrivato, è bellissimo, pieno di prospettive ma non è per sempre, non è perfetto e non sarà
privo di problemi. Egli infatti crescerà, invecchierà, subirà gli urti della vita, non sappiamo come ne
uscirà ma non sarà facile, riserberà sorprese tra alti e bassi e, forse, ci stupirà.
Image’s copyright: www.thenewbornbaby.net

I nuovi giovani sono distanti dalla realtà. Che società ci dobbiamo aspettare? – Parte seconda

Rubrica: Così è la vita

Titolo o argomento: Chi prenderà il futuro in mano?

Una parte non trascurabile di giovani oggi abbandona un impegno alla prima difficoltà; non finisce quello che inizia; scappa se fallisce; non prova interesse nello scoprire cosa ha causato errori, malfunzionamenti, insucessi, risultati parziali o comunque non completamente corretti né soddisfacenti. Per reazione compensativa poi, ci sono quelli che alle loro idee ci credono, si mettono in gioco, si impegnano nel portare avanti una causa, anche se spesso vivono l’amarezza di non aver raggiunto l’obiettivo desiderato. Pure questo tipo di giovani potrebbe ottenere poco, però almeno ha tentato, ha scoperto, ha maturato… ha vissuto. Come deve essere quindi un giovane oggi e cosa deve avere per riuscire almeno ad intravedere una possibilità di cambiamento? Secondo me alla base vi è un problema che possiamo illustrare parallelamente con un esempio.

I giovani d’oggi hanno la sfortuna di non conoscere cosa significhi la qualità, non hanno mai avuto abiti realizzati con tessuti validi ad un prezzo corretto, non hanno mai visto oggetti di qualità perchè oggi quegli oggetti di buona fattura che una volta era normale possedere sono diventati rari e costosi (oggi si comprano più frequentemente cose molto scadenti). I giovani d’oggi non hanno mai visto cosa significa acquistare un prodotto in un negozio di fiducia, adorano fare acquisti nelle grandi superfici o su siti web poco etici. Alcuni sperano addirittura di trovare lavoro come commessi, venditori, impiegati, ecc., proprio presso chi è causa dello spopolamento dei negozi e negozietti dei centri urbani (con decadimento annesso). Ma non lo sanno. Non lo sanno quanto erano amati quei negozietti, quanto erano utili, quali effetti positivi procuravano sulla salute di una città. Per fortuna è poi arrivato internet in tutte le case ed anche chi ha distrutto la civiltà del centro urbano è stato a sua volta distrutto conoscendo una crisi massacrante (tocca a tutti prima o poi). Ma l’effetto è durato ben poco in quanto l’opportunismo si è fatto presto larga strada anche sul web con specchietti per le allodole tra i più efficaci di sempre. I “nuovi giovani” oggi vedono quello che li circonda come qualcosa di normale, semplicemente perchè da quando sono nati non hanno visto altro. Non hanno avuto scelta e, come accade per la massa, conosci solo ciò che vedi e credi solo a ciò che vedi (ahimé, è sempre molto difficile andare oltre).

Quindi il problema è che spesso i giovani non sanno nemmeno cosa è stato tolto loro, né perchè si ritrovano a desiderare proprio ciò che li sta danneggiando. Un esempio banale come quello appena riportato dovrebbe far comprendere questa teoria in modo concreto e intuitivo. In sostanza dovrebbero sapere che possono desiderare e pretendere di più per sé stessi e per gli altri, che hanno diritto a di più e che quello che spesso hanno è solo un diversivo scacciapensieri privo di valore che non conferirà loro nulla di più del nulla. Perchè le assurdità odierne scacciano i pensieri utili e riempiono invece la mente di cose sciocche, blande e futili che non giovano alla cultura ed al futuro di una società civile e moderna.

Continua…

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Il modello della crescita costante e continua non esiste

Rubrica: Crisi, osservazioni e riflessioni

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Crescita, crescita, crescita… quante volte senti ripetere fino alla noia questo termine? A forza di sentirlo così spesso si ha come l’impressione che ci si sforzi affinché la crescita sia perenne, eppure qualcosa non torna. Crescere in modo costante e continuo non è logicamente possibile perchè ciò equivarrebbe ad affermare che puoi riempire una scatola all’infinito o che il pianeta terra disponga di risorse infinite e che quindi ci sarà sempre più petrolio, sempre più materie prime, sempre più risorse idriche e così via. “Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma – Antoine Laurent de Lavoisier, chimico, biologo, filosofo, economista francese, 1743-1794”. Il totale di quello che “è” è sempre il medesimo all’interno del sistema in cui viviamo (e quindi almeno all’interno del nostro pianeta), ciò che cambia è la forma sotto cui si presenta. Preziose materie prime, ad esempio, giacciono in milioni di discariche presenti nel mondo ed in una forma che non è utile all’uomo e, anzi, danneggia l’ambiente. Purtroppo chi vive da padrone questa scena è interessato solo al presente, al proprio presente, e ignora le conseguenze di scelte opportunistiche.

Allo stesso modo l’economia funziona come una scatola o tutt’al più come un insieme di scatole che scambiano i loro contenuti a vicenda (vedi l’articolo: La nazione come il Monopoly). Matematicamente, per offrire la “sensazione” che la crescita sia, o debba essere, costante e continua, vi è un unico modo: ignorare il fatto che mentre un sotto-sistema si arricchisce, un altro sotto-sistema si impoverisce. Il denaro si trasferisce, non si moltiplica. Il denaro si muove su intuizioni, su speculazioni, sulla conoscenza anticipata di preziose informazioni, ma non può essere moltiplicato. Moltiplicarlo equivarrebbe a svalutarlo, immettere moneta aggiuntiva porta inflazione certa. Così per rendere questo fenomeno meno surreale, si “generano crisi” che hanno lo scopo di alimentare le speculazioni e di indurre il pensiero che se non ci fosse stato un momento negativo per i mercati, la crescita sarebbe continuata normalmente come in precedenza. In realtà la crisi è diretta conseguenza della crescita, mentre la sensazione di “ri”crescita è proprio la diretta conseguenza dei danni causati da una crisi molto più calcolata di quanto si possa immaginare. La crescita è fittizia, si tratta di una grande partita di Monopoly in cui ogni giocatore che esce rimette in circolo nel sistema quello che aveva (liquidità, proprietà, operazioni, imprese, capitali di varia natura). Ciò che perde il giocatore uscente diventa di proprietà di chi ha innescato il fenomeno o di coloro i quali, ignari, fanno parte di un sistema, che anche se per ora li ha risparmiati, prima o poi potrebbe colpirli senza pietà alcuna.

Non si parla del fatto che in Italia vi è un suicidio al giorno tra i disoccupati e, un suicidio ogni quattro giorni tra gli imprenditori in grossa difficoltà. Ognuna di queste scomparse causate dalla crisi è un tornaconto per chi doveva mantenere e offrire servizi al singolo individuo (disoccupati, cassintegrati, dipendenti in mobilità, imprenditori in difficoltà, ecc.) e per chi trova ora sulla scena un concorrente in meno (ad es. l’imprenditore che non ha retto). Meno aziende producono il bene x, più opportunità di crescita ci sono per le aziende che resistono più a lungo. Attenzione però, questo non significa che il sistema è innescato dalle aziende che attualmente si trovano nella posizione migliore. Questo sistema è automatico, ce lo auto-induciamo quando crediamo al modello della crescita continua anziché a modelli basati sulla produzione e lo scambio a breve distanza, sulla filiera corta e sullo scambio a livello mondiale dei soli beni particolari, tipici e caratteristici per ragioni naturali, culturali e di specializzazione. Il gioco economico termina quando l’unico concorrente rimasto non può più crescere da solo… crescere rispetto a chi, crescere alimentato da cosa?. La crisi economica rimescola le carte e ridistribuisce prima di tutto l’operato dei più piccoli verso l’alto, dopodiché non fa eccezioni e guarda le grandi realtà con un occhio a dir poco goloso.

Il fenomeno delle crisi economiche è ciclico, tuttavia non può essere assimilato ad una normale onda sinusoidale in quanto ciò equivarrebbe ad affermare che, una volta terminata una crisi economica, le condizioni possano tornare al pari della migliore situazione precedente. Ovviamente così non è, si verificano infatti delle perdite le quali, in fase di ri-crescita, portano a massimi relativi (o picchi) via via più bassi. Il fenomeno della crisi economica ciclica può pertanto essere assimilato ad un’onda sinusoidale smorzata. Via via che l’onda si affievolisce l’unico modo per riportarla ad uno stato accettabile aumentandone l’ampiezza (riferimento alla zona rossa del grafico riportato in basso) consiste nell’immettere nel sistema capitali, risorse, innovazione… Ora la logica domanda è: “Dove prenderli?”. Solamente in seguito a fenomeni storici disastrosi quali ad esempio la seconda guerra mondiale, si è assistito ad un reale boom economico di crescita il quale tuttavia si è fondato soprattutto sulla larga disponibilità di manodopera a basso costo e sulla conseguente competitività dei prezzi sul mercato.

Einstein diceva che tutto dovrebbe essere fatto nel modo più semplice, ma non è semplice. Infatti per fare le cose nel modo più semplice, dobbiamo molto spesso farle prima in modo più complicato e, in seguito a numerosi fallimenti o risultati insufficienti, o parzialmente soddisfacenti, renderci conto di cosa complicava il meccanismo di funzionamento e di cosa togliere, cosa lasciare, cosa modificare, cosa aggiungere. E’ sbagliando che un bambino impara, è cadendo che capisce come muovere una gamba davanti all’altra, come mantenere l’equilibrio; una volta imparato poi si ritiene semplice, intuitivo e scontato il fatto di saper camminare anche se in realtà è stato difficilissimo capire come fare, come rendere semplice e naturale un’azione. Non esiste la crescita costante e continua, può esistere una sensazione di questo concetto instabile e fortificata dall’informazione errata che circola. Esiste invece un modello che attualmente è ben rappresentabile con un’onda, e come un’onda di mare può portare via tutto.

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