La formula 1 e il preludio della crisi economica globale

Rubrica: Crisi, osservazioni e riflessioni

Titolo o argomento: Mondi diversi, stessa crisi

Il patron della formula uno, l’inglese Bernard Charles Ecclestone, più conosciuto come Bernie Ecclestone, è il padre dell’organizzazione imprenditoriale a cavallo tra la vecchia formula uno grezza e lo sport motoristico ai massimi livelli, anche economici, che conosciamo oggi. Questo mese egli ha rilasciato una dichiarazione alla stampa che, con ogni probabilità, resterà scritta nella storia sportiva (a mio avviso anche economica) mondiale di tutti i tempi. Per intenderci stiamo parlando di uno sport dove una sola stagione, per ognuno dei top team, con riferimento all’ultimo decennio,  può arrivare a costare cifre che si avvicinano al mezzo miliardo di dollari.

La crisi figlia della crisi

Risulta noto, non solo agli appassionati di motori bensì a coloro che si interessano dell’andamento dei mercati, che “anche” la formula uno sta attraversando una crisi economica nera. Scrivo “anche” ma in realtà desidero sottolineare in qualche modo come la crisi della formula uno non sia altro che figlia diretta della crisi economica globale, figlia dei medesimi meccanismi e figlia dei medesimi fautori. Ho scritto tempo addietro come certi meccanismi economici partano dal basso per poi guardare con occhio goloso anche le realtà più grandi che non sono affatto escluse dalle leggi dei mercati (vedi link correlati).

Chiavi di lettura semplici, teorie e conferme

Ho scritto, inoltre, diversi articoli circa la crisi globale e tutti, spero, semplici da comprendere cosicché ogni lettore possa adottarli come strumenti efficaci per capire e non sia escluso da paroloni difficili e teorie astruse e astratte che non sono di alcuna utilità per comprendere e risolvere certi problemi (vedi link correlati). Al di là delle conferme e degli apprezzamenti, più che graditi, che ho avuto dai lettori (dall’artigiano, l’imprenditore, fino al professore universitario e “uomini di scienza”) quello che mi mancava era almeno un pallido accenno di conferma anche da parte di chi gestisce “annualmente” cifre dell’ordine dei miliardi di dollari.

Quando la realtà è impossibile da negare

Ad inizio Novembre (2014) il top manager della formula uno, Ecclestone, ha lasciato un’intervista “insolita” figlia probabilmente di un disagio ormai impossibile da nascondere (specie dopo il forfait di alcuni team che non si sono iscritti alla stagione 2015); quel tipo di intervista che i guru della comunicazione, poco prima di entrare in sala stampa, ti sconsigliano vivamente di tenere per non far trapelare debolezze, incertezze e non far sorgere conseguenti reazioni di instabilità. La dichiarazione rilasciata alla stampa mondiale:

“Il problema sta nel fatto che troppo denaro è spartito in maniera non ottimale. Probabilmente per colpa mia. Sembrava un buon accordo quando lo abbiamo sottoscritto, come spesso accade in queste situazioni. Rimpianti? Se le scuderie fossero di mia proprietà avrei sicuramente agito in maniera differente, perché quello sarebbe stato il mio denaro. Ma io lavoro con persone che sono nel circus per guadagnare soldi. La soluzione al problema è strettamente legata al contributo dei team principali. Gli ho detto che vorrei prendere una quota dei premi che ricevono sulla base dei risultati. Sto pensando di spartire quella somma fra le 3-4 squadre più in difficoltà, a cui aggiungerei una cifra analoga. Dobbiamo decidere qual è la soluzione migliore per risolvere i problemi. Onestamente so cosa non funziona, ma non so come aggiustarlo. Nessuno è in grado di fare qualcosa. Non è possibile agire perché le regole ci bloccano”.

Premesso che con l’ultima frase “le regole ci bloccano” non si intende le regole dei mercati ma della formula uno e scongiurando quindi l’ipotesi che “ulteriori” maggiori libertà dei mercati, già oltremodo deregolamentati, possano essere la soluzione di una crisi economica nata proprio dalla “deregolamentazione furiosa”, possiamo mettere in risalto i due perni attorno ai quali ruota il discorso. Il primo: “Il problema sta nel fatto che troppo denaro è spartito in maniera non ottimale”, ed il secondo: “Onestamente so cosa non funziona ma non so come aggiustarlo”.

Problema numero 1: Troppo denaro è spartito in maniera non ottimale

La crisi della formula uno nasce quindi dal fatto che troppo denaro è spartito in maniera non ottimale… il divario tra i top team ed i team che ci provano, che tentano di stare in gioco, è abissale, insormontabile, incolmabile… esattamente ciò che è accaduto anche in Italia (ed in tutta una serie di altri stati) dove negli ultimi anni si è operato insanamente (e a mio avviso consapevolmente) affinché aumentassero le “differenze” e venisse gambizzato in particolar modo il ceto medio nonché le piccole e medie imprese offrendo come tornaconto un potere immenso a vantaggio di poche e grandi realtà che ora si trovano sole al comando. Il problema è che finché si tratta di sport, se non si considera per un attimo l’immensa filiera che c’è dietro, il massimo che può accadere è di annoiare il pubblico, ridurre lo spettacolo, deludere chi stava provando a fare un buon lavoro anche come team minore e rovinare nuove opportunità di investimento. Se invece ci spostiamo all’interno di uno stato le cose cambiano drasticamente dimensione e conseguenze ma il succo rimane il medesimo… i cittadini perdono motivazione, si riduce la partecipazione, si deludono le aspettative anche di chi si dava da fare per esserci e si rovinano le opportunità di investimento che coinvolgono numerose realtà a favore invece di pochi che potrebbero non rivelarsi particolarmente meritevoli, competenti e idonei.

Problema numero 2: Sapere cosa non va ed essere inermi

Si sa quindi cosa non funziona ma non si sa come aggiustarlo perchè se in uno sport come la formula uno fa paura il solo pensiero di andare avanti anche senza i grandi nomi che non ci stanno a “rinnovare” un mondo ottimizzato, sicuro ed estremamente orientato ormai da anni solo sulle loro esigenze, all’interno di uno stato le cose non sono poi così diverse e si teme terribilmente l’idea di andare avanti senza i soliti impegnandosi vivamente a ricostruire, sul serio, lo spazio vuoto che è stato lasciato tra il “minimo” ed il massimo. Compreso questo non è poi così inverosimile porre rimedio alla situazione, è sufficiente saper fare le opportune rinunce.

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La formula uno si adorna di strutture favolose, oggetti e ricchezze fuori dalla concezione umana
ma con il tempo ha lasciato che questo surclassasse l’aspetto più importante, l’agonismo.
La crisi non ha tardato ad arrivare. Oggi più che mai però la formula uno è diventata l’esempio
lampante dei meccanismi della crisi economica globale che sta distruggendo la “normalità”
di ciò che è intermedio e di ciò che è semplice.
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