Rubrica: Neuroscienze
Titolo o argomento: Il cervello, ipotesi morfologiche
Da un punto di vista tecnico i neuroscienziati non hanno dubbi sul fatto che le pieghe tipiche del cervello umano adulto siano state la soluzione che Madre Natura ha adottato per montare l’equivalente di un potente processore in uno spazio ridotto. Sebbene il “perché” sia stato soddisfatto, il “come” è ancora frutto di intense ricerche. Ciò è stato possibile attraverso strumenti biologici, fisici?
Il cervello dei feti umani è liscio per le prime 20 settimane circa, successivamente ha inizio la fase di piegamento della zona denominata “corteccia” in cui si formano i noti arricciamenti. Quest’ultima prosegue fino al raggiungimento dei 18 mesi. La superficie coperta dalla corteccia piegata è quasi tre volte quella di un cervello liscio delle dimensioni della nostra testa.
Uno degli autori di questo studio, Lakshminarayanan Mahadevan della Harvard University nel Massachusetts, ha osservato come il numero, la dimensione, la forma e la posizione delle cellule neuronali durante la crescita del cervello portino tutti all’espansione della materia grigia, nota come corteccia. Questo la mette sotto compressione portando ad una instabilità meccanica che la fa piegare localmente. Tale innovazione evolutiva consente alla corteccia sottile, ma espansiva, di essere racchiusa in un piccolo volume, ed è la causa principale dietro la piegatura del cervello.
Mahadevan e la sua squadra hanno usato le scansioni MRI (imaging a risonanza magnetica) del cervello liscio del feto per costruire un modello tridimensionale costituito da gel (a base di elastomeri) che aveva la funzione di simulare la corteccia. La crescita del cervello è stata simulata immergendo il gel elastomerico in un solvente che è stato assorbito dallo strato esterno, causandone il rigonfiamento rispetto alla regione più profonda. In pochi minuti sono comparse le prime pieghe che erano notevolmente simili, per dimensioni e forma, alla realtà. Lo stesso processo si verifica quindi sia utilizzando tessuto vivente che non.
Commentando lo studio, Ellen Kuhl del dipartimento di Bioingegneria della Stanford University, ha affermato che i risultati potrebbero essere un importante passo avanti nella diagnosi, nel trattamento e nella prevenzione di una serie di disturbi neurologici come convulsioni, disfunzioni motorie, handicap mentale e ritardo dello sviluppo.
Sapere se prendere di mira cause “meccaniche” o “biologiche” è fondamentale per sviluppare trattamenti migliori.
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