Batterie ai batteri – MFC (Microbial Fuel Cell)

Rubrica: Energia

Titolo o argomento: Microbial Fuel Cell

Alcuni ricercatori statunitensi (Biodesign Institute dell’Arizona State University) hanno scoperto l’esistenza di un batterio in grado di degradare praticamente ogni tipo di composto organico con emissione di energia. Si sta quindi tentando di produrre celle a microbatteri (MFC ovvero Microbial Fuel Cell) molto più efficienti di quelle oggi diffuse. Questa interessante ricerca (tra l’altro finanziata anche dalla Nasa) è stata pubblicata su Biotechnology and Bioengineeringè.

Le MFC possono sfruttare una varietà di composti organici idratati. Il principio di funzionamento è il medesimo delle batterie convenzionali. Vi sono un anodo (che accumula cariche positive) ed un catodo (che accumula cariche negative) connessi con un circuito esterno ed immersi in una soluzione che conduce elettricità (elettrolita). In corrispondenza dell’anodo si trovano i batteri che decompongono i rifiuti organici. Gli organismi liberano elettroni che vengono trasferiti dall’anodo al catodo attraverso il circuito esterno generando energia elettrica. Qui gli elettroni sono prelevati dagli ioni di ossigeno e idrogeno per formare acqua.

Andrew Kato Marcus, che ha condotto lo studio, spiega che i batteri utilizzano l’anodo per il loro metabolismo. Sulla superficie dell’elettrodo si forma così una comunità di batteri chiamata biofilm. I batteri nel biofilm producono una matrice di materiale che rimane attaccata all’anodo (complesso di proteine e zuccheri) che ha una struttura a nanofili (vedi l’articolo: “Che cosa sono le nanotecnologie?”) che facilita il passaggio di corrente. All’interno della MFC vi è il complesso ecosistema in cui i batteri vivono e generano la matrice che conduce gli elettroni. L’intero biofilm agisce come un anodo, un elettrodo vivente, definito anodo-biofilm.

Sono state individuate tre fondamentali variabili per il controllo delle Microbial Fuel Cell:

  • La quantità di rifiuti organici (ovvero il combustibile)
  • L’accumulo di questa biomassa all’anodo
  • Il potenziale elettrico nel biofilm.

I ricercatori hanno osservato che, regolando il potenziale nel biofilm, è possibile controllare l’efficienza della cella ed hanno dimostrato che il biofilm produce molta più corrente quando ha un preciso spessore. Sapere come implementare la produzione di energia elettrica della MFC potrebbe portare ad un sistema efficiente al punto da essere più che competitivo con le attuali tecnologie.

Vi voglio anticipare che questo tipo di ricerca non ha portato solamente allo studio di nuove batterie ma, come vedremo in uno dei prossimi articoli, alla scoperta di un sistema per produrre qualcosa di assai interessante 😀

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Che cos’è un Ultracapacitore (o Supercondensatore)?

Rubrica: Tecnologie utili ai mezzi elettrici ed ibridi, ma non solo…

Titolo o argomento: Accumulo e utilizzo rapido di energia mediante ultracapacitore

Un ultracapacitore (o ultracondensatore o supercondensatore) è una sorta di batteria in grado di accumulare grandi quantità di energia, essere ricaricata centinaia di migliaia di volte e, cosa più importante, essere ricaricata in tempi decisamente brevi. La tecnologia oggi è arrivata al punto di offrire ultracapacitori in grado di ricaricarsi completamente in tempi che vanno da 1 a 30 secondi. Ci sono delle pecche? Come è naturale che possa essere sì: il peso e, per qualche tempo ancora, i costi. L’efficienza è attestata intorno a valori del 90-95% e sono previsti 500.000 cicli di ricarica senza problemi. Tecnicamente un ultracapacitore è un dispositivo a cavallo tra le tradizionali batterie ricaricabili ed un condensatore elettrolitico. Vanta elevata potenza, energia e affidabilità a lungo termine. Un ultracapacitore è composto da due elettrodi immersi in un elettrolita. La separazione avviene per mezzo di un dielettrico poroso che previene il cortocircuito degli elettrodi. Un ultracapacitore immagazzina energia sotto forma di cariche elettrostatiche. Queste si dispongono in versanti opposti a seconda della carica che si forma tra la superficie degli elettrodi e l’elettrolita.

Simili dispositivi sono stati scartati ad esempio nel progetto della Porsche 911 Hybrid perchè, nonostante la buona autonomia fornita ai motori elettrici nonché la possibilità di ricarica rapida ad ogni frenata, il peso non rendeva complessivamente vantaggioso il meccanismo messo a punto da Porsche. Ragione per cui si è optato per un accumulatore di energia cinetica a volano.

Gli ultracapacitori più commercializzati sono costituiti da due elettrodi (solitamente a base di carbone attivo) e da un elettrolita, tale versione prende il nome di EDLC ovvero Electrochemical Double Layer Capacitor e funziona sostanzialmente come un normale condensatore accumulando energia elettrica e trasferendo cariche elettriche (positive e negative) sui due elettrodi separati da un isolante (in questo caso elettrochimico). Nell’ultracapacitore la carica elettrica si accumula all’interfaccia tra un conduttore (l’elettrodo) ed un elettrolita liquido, generando quindi un doppio strato di cariche dove ad ogni elettrodo equivale un condensatore a facce piane. L’aumento delle caratteristiche ottenuto dagli ultracapacitori, rispetto ai normali condensatori, è sostanzialmente dovuto all’utilizzo di materiali innovativi ad alta superficie microscopica ed allo spessore equivalente del dielettrico, pari alla distanza tra le cariche elettriche (spessore del doppio strato) e non a quella tra gli elettrodi. Possiamo effettuare interessanti distinzioni tra le configurazioni degli ultracapacitori (o supercondensatori), di seguito ne troviamo un breve elenco.

Pseudo-condensatori: alla carica elettrostatica aggiungono quella elettrochimica associata a 2 particolari reazioni elettrodiche.
Ultracapacitori simmetrici:
hanno i due elettrodi uguali.
Ultracapacitori asimmetrici:
hanno i due elettrodi dello stesso materiale ma di composizione diversa.
Ultracapacitori ibridi:
hanno i due elettrodi di materiale diverso.
Ultracapacitori asimmetrici ibridi:
ad un elettrodo di supercondensatore viene abbinato un elettrodo di una batteria.

Si possono poi effettuare distinzioni basate sull’elettrolita utilizzato, esso infatti può essere di tipo “acquoso” o di tipo “organico” (o non acquoso). Il primo tipo utilizza acido solforico diluito ed è caratterizzato da una tensione di lavoro di circa 0,7-0,9 V mentre il secondo tipo (più recente) raggiunge una tensione di cella superiore ai 2,3 V. Grazie a queste soluzioni si è potuto superare il limite di 5 Wh/kg di energia specifica e 4-5 kW/kg di potenza specifica con una stabilità e durata di vita ben maggiore di 500.000 cicli completi di carica e scarica.

L’energia accumulata vale:
E = 1/2 CV2 dove C è la capacità del condensatore espressa in Farad e V è la tensione nominale in Volt.

La potenza di picco invece vale:
P = V2/(4R) dove V è la tensione nominale espressa in Volt ed R è la resistenza equivalente serie in Ohm.

Gli ultracapacitori sono prevalentemente destinati all’uso industriale (backup, unità di potenza ausiliaria, compensazione della potenza istantanea, compensazione potenza di picco), alle energie rinnovabili (stoccaggio energia ricavata in eccesso dai pannelli fotovoltaici), alle piccole utilità elettroniche (cellulari, computer portatili…) ed ai trasporti (vetture elettriche, vetture ibride, moto e biciclette elettriche, trasporti pesanti). Insomma possiamo definire un ultracapacitore un dispositivo affatto complesso che sfrutta un fenomeno puramente fisico di un processo reversibile di accumulo elettrostatico, anziché una reazione chimica, con la conseguenza che si ottengono i vantaggi e gli svantaggi sopra citati.

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Un simile dispositivo è l’ideale per immagazzinare rapidamente l’energia fornita ad ogni frenata da un veicolo ibrido.

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