Potrebbe accadervi, durante l’architettura dei vostri progetti, di mirare alla semplicità prima di ogni altra cosa, nutrire il desiderio che il prodotto che state ideando e realizzando sia quanto più possibile di facile costruzione (quindi anche dai costi contenuti), di facile utilizzo (quindi ampiamente usufruibile dall’utente finale), di facile manutenzione (in grado cioè di comportare degli impegni ma senza eccessivi ed inutili grattacapi) e, dove previsto, di facile modifica (ad esempio quando si offre alla folla la possibilità di contribuire ai successivi step di sviluppo del prodotto stesso).
Il lavoro di sgrossatura di un’idea
Così vi sforzate di sgrossare le vostre idee e spendere un gran bel lavoro per passare da una bozza di idea piena di funzioni complesse (nascoste sovente dalla pressione di un solo bottone o l’azionamento di una leva, un cinematismo…), percorsi contorti (che portano al vostro obiettivo e permettono al prodotto, sfruttando dei sottosistemi in esso integrati, di eseguire una funzione di cui l’utente non deve necessariamente conoscere le dinamiche essendo interessato al solo risultato) e funzionalità (che inizialmente potreste comprendere solo voi che avete avuto un’intuizione), per arrivare finalmente ad uno schema ordinato, logico e facilmente interpretabile da chiunque possa trarre un vantaggio dall’utilizzo del vostro prodotto.
Diceva Einstein
Come ho scritto più volte, Einstein affermava: “Ogni cosa dovrebbe essere fatta nel modo più semplice… ma non è semplice”. In effetti il lavoro di “semplificazione” è assai più arduo di quello che si compie per “complicare”. Vista poi la naturale tendenza dell’Universo all’Entropia, disordinare è una cosa che viene praticamente da sé, rimettere in ordine invece…
Quando pensate che sia tutto in ordine…
Mantenete questa filosofia il più a lungo possibile ma poi arriva un giorno in cui vi rendete conto che siete chiamati a “complicare” il vostro prodotto per aggiungere funzioni che prima non vi servivano e che ora sono di vitale importanza per arricchirlo. Generalmente questo momento arriva quando pensate che ormai sia tutto in ordine e funzionale, quando vi convincete che, arrivati a questo punto, è sufficiente mantenere la rotta e continuare così. Proprio a questo punto, potreste scoprire che per fare un ulteriore passo evolutivo dovete necessariamente rimescolare tutte, ma proprio tutte, le carte in tavola. Quando siete a questo punto state probabilmente integrando il vostro prodotto con dei nuovi sottosistemi che lo rendono un pizzico più intelligente e, nuovamente, si ripropone il problema di progettare, utilizzare e rendere fruibili funzioni nel modo più semplice possibile o altrimenti nessuno vorrà scervellarsi per usare il vostro prodotto, né tantomeno per ripararlo, modificarlo o, addirittura, evolverlo.
Integrazione di Meccanica, Elettronica ed Informatica
E’ il caso della “Meccatronica”. In principio potreste amare la meccanica nuda e cruda, esasperare le vostre conoscenze settoriali, trovare il modo di semplificare e rendere fluida la progettazione, la prototipazione, la costruzione e l’utilizzo di un dispositivo, di un organo o di un assieme, e poi accorgervi che dovete prendere un foglio bianco e ricominciare da zero integrando nel vostro concept almeno un pizzico di elettronica. Questo perchè magari vi servono dati, vi servono funzionalità, vi servono feedback, vi serve un minimo di intelligenza artificiale che interagisca prima con voi e poi con l’utente finale.
Quanto lavoro dietro un’apparente semplice vibrazione
A questo punto entrate in un universo parallelo dove, ad esempio, il modo di vibrare di un’ala d’aereo è studiato in un laboratorio (analisi modale) ove vengono simulate le reali condizioni di utilizzo. Si imprimono opportunamente delle forze, agenti ciclicamente, che devono mandare in risonanza la struttura, monitorando quando tale fenomeno si verificherà, con quale intensità e quali effetti. Potreste quindi ritrovarvi ad “affogare” delle celle di carico che misurino l’intensità delle forze agenti sull’ala e degli accelerometri che rilevino l’entità delle vibrazioni conseguenti. Potreste persino, una volta ottenute le dovute conferme, ripetere i vostri rilievi sul velivolo durante un reale volo (ad esempio per confrontare i dati reali con quelli dell’analisi), potreste aver necessità di sfruttare la tecnologia wireless per trasportare queste informazioni dai vostri sensori e trasduttori al vostro datalogger o al computer portatile, senza generare complicazioni d’impianto. Addirittura potreste aver bisogno di integrare la vostra ala con sistemi in grado di comunicare alla cabina di pilotaggio, in tempo reale, tutti i dati desiderati, nonché gli eventuali allarmi, e persino ricevere istruzioni dalla cabina stessa, e mettere in atto, le modifiche che il pilota ritiene idonee in una data condizione.
Conclusioni
Ecco spiegato, con parole mie, l’utilità che possono avere gli NIDays di National Instruments qualora iniziate a sentire il bisogno di integrare una vostra idea con dei sistemi distribuiti, sistemi DAQ, sistemi embedded ma non siete immediatamente avezzi con questi termini ed altri quali ad esempio: triggering, tecniche MIL (Model In the Loop), tecniche HIL (Hardware In the Loop), data logging, dara processing, ecc., che figurano solitamente sulle spiegazioni concepite per i soli operatori del settore.
Foto
Foto 1 e 2: Sistema di acquisizione dati per misure di potenza ed energia
Foto 3: Analisi modale su un righello che riproduce la logica di un’ala
Foto 4, 5 e 6: Data logging e data processing
Foto 7 e 8: Integrazione del bus CAN
Foto 9: Ispezione visiva
Foto 10: Sistemi MIL e HIL
Foto 11: Test dei microfoni MEMs
Foto 12, 13, 14 e 15: Visione embedded
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