Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Plasticità neuronale

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Ora che abbiamo introdotto, in maniera del tutto informale, chi sono i principali giocatori nel nostro personale campo elettrochimico, possiamo citarli con un pizzico di consapevolezza in più per descrivere i metodi, le tattiche di gioco del cervello davanti alle situazioni che andiamo a considerare.

Plasticità neuronale: il cervello che si trasforma

In genere per plasticità si intende la proprietà di un materiale di essere fisicamente malleabile (l’esempio tra i più intuitivi che posso proporvi è sicuramente rappresentato dalla plastilina, il pongo). Si è scoperto che il nostro cervello non è statico come si pensava fino a pochi anni fa. Esso non rimane lungo la vita così come si è formato, impostato in principio, da bambini per poi invecchiare inesorabilmente perdendo le sue caratteristiche di partenza. Al contrario la sua caratteristica endemica è la plasticità ovvero la possibilità di modificarsi tutta la vita sulla base di specifiche esigenze. Nel caso del cervello parliamo precisamente di plasticità neuronale che esprime la capacità del sistema nervoso di modificarsi, da un punto di vista chimico, strutturale e funzionale, come risposta al passare del tempo o per contrastare il verificarsi di lesioni o, perché no, per rispondere a specifiche, anche severe, sollecitazioni della vita.

Cambiamenti chimici

L’apprendimento necessita di pratica costante altrimenti il rilascio dei neurotrasmettitori non è sufficiente per fissare le nuove abilità sviluppate. Se vi impegnate per qualche ora in un nuovo compito notate dei miglioramenti evidenti, ma se non ripetete con costanza l’esercizio e lasciate che passino giorni, settimane, sarà evidente come ogni volta dovrete ricominciare l’apprendimento dall’inizio (ad esempio con la chitarra o con un nuovo attrezzo da lavoro che utilizzate raramente). La pratica costante aumenta il rilascio di neurotrasmettitori rafforzando le capacità del cervello.

Breve nota per la salvaguardia dei bambini: le Neuroscienze hanno dimostrato che è molto più utile far esercitare un bambino anche solo 15 minuti al giorno con costanza nel tempo, giorno dopo giorno, lasciando che si diverta nel farlo, che traumatizzarlo nell’apprendimento ore e ore uno o due giorni la settimana, cosa che lo annichilisce solamente.

Cambiamenti strutturali

Sostenere che il cervello sia plastico non è un modo di dire giusto per comunicare che, se sollecitato, può aggiornare qualcosa di simile ad un software. Significa invece che può realmente mutare la sua morfologia, modificare l’hardware. Costanti stimoli inducono la germogliazioni degli assoni. Ricordate? Sono le “autostrade” su cui viaggiano i segnali elettrici a velocità più che doppie rispetto ad una Formula 1. Così come per gli assoni anche i dendriti (le fitte vie simili ad un attrezzatissimo centro urbano) mutano fisicamente generando nuove vie di collegamento e dismettendo quelle obsolete considerate inutili.
Allo stesso modo l’esercizio fisico migliora l’apporto di sangue (attraverso una molecola che prende il nome di ossido nitrico) e la relativa ossigenazione del cervello (nonché di tutti gli apparati del corpo) attraverso la generazione di nuovi vasi sanguigni capaci di arrivare sempre più in profondità (con tutti i vantaggi che abbiamo trattato nella rubrica “Curiosità sul cervello”, vedi i Link correlati in basso). L’organismo si adatta alle richieste più impegnative che gli vengono poste e con esse porta maggior qualità di vita. E’ come se l’organismo adorasse essere stimolato in modo costruttivo anziché essere abbandonato alla pigrizia o a stimoli incoerenti.

Cambiamenti funzionali

Questa innata capacità di adattamento del cervello porta quindi cambiamenti chimici, cambiamenti strutturali e, di conseguenza cambiamenti funzionali. Questo significa che può apprendere cose nuove, cose nuove di crescente difficoltà (come la Matematica, l’utilizzo di strumenti musicali, la risoluzione di problemi complessi, l’uso del corpo in modi sorprendenti nello sport così come nell’esempio solitamente sbalorditivo delle arti manuali). Ma può anche porre rimedio a situazioni gravi come ad esempio traumi. Il cervello, infatti, in seguito a lesioni, può autoattrezzarsi nell’utilizzo e nella specializzazione di nuove aree, al fine di compensare un deficit, tanto più facilmente quanto più è stato stimolato in un periodo sufficientemente lungo precedente al trauma. Il cervello può quindi crescere e arricchirsi nelle zone maggiormente utilizzate per adeguarsi a precise richieste. Ma ci riesce non necessariamente in seguito ad un lavoro intenso, bensì in seguito ad un lavoro costante di intensità proporzionata e variabile con il crescere delle prestazioni (alla stregua di un muscolo).

Gli stimoli

Quindi i neuroni comunicano tra loro tramite le sinapsi che hanno luogo grazie al rilascio di neurotrasmettitori. Necessitiamo di stimoli soprattutto di tipo cognitivo perché gli stimoli in sé, se sono privi di senso, non migliorano le prestazioni del cervello ma anzi lo affogano nella confusione. Necessitiamo di esercizio anche fisico perché il maggiore apporto di sangue ossigenato al cervello stimola la neurogenesi ovvero la crescita di nuovi neuroni (grazie alle staminali presenti in una regione del cervello denominata ippocampo).

L’apprendimento deve essere impegnativo per il cervello. Se si riescono ad imparare cose sempre più difficili, articolate, complesse, specializzate, otteniamo i benefici maggiori. I dati, le funzioni, le specializzazioni apprese verranno fissate la notte nel sonno (dove saranno riattivati gli stessi neuroni impiegati nell’apprendimento di giorno) e poi rinforzate con l’allenamento, la pratica, l’impegno teorico, l’ossigenazione cerebrale.

Impegno mentale di livello crescente, attività fisica, sonno, alimentazione sana… sono gli ingredienti per un cervello heavy-duty ma la volontà e la propria esperienza personale (rielaborata perseguendo una saggezza costruttiva) fanno la differenza molto più del singolo esercizio meccanico.
Hanno un’influenza non trascurabile anche la predisposizione iniziale dell’individuo e lo sviluppo di capacità “fissate” (non temporanee) derivanti da esperienze pregresse utili per la realizzazione dei propri progetti (previa coerenza delle operazioni, acquisizione consolidata delle capacità necessarie e fattibilità dei propri progetti).

Ognuno con la sua specifica strada

Non vi è uno schema che, ripetuto meccanicamente, ad algoritmo, porti un essere umano alla sua prestazione ottima. Ognuno deve trovare il proprio singolare metodo, adeguato alle proprie singolari caratteristiche e messo in relazione alla propria particolare vita. E questa ricerca del proprio metodo è in sé lo stimolo migliore che si possa imprimere al cervello, probabilmente il più faticoso, quello che impegna maggiormente e restituisce la miglior fluidità e complessità di elaborazione.

Se il vostro atleta preferito vi racconta come si è allenato per vincere i suoi titoli, e vi racconta anche i propri segreti, voi non vincerete gli stessi suoi titoli perché vi è una “complessità”. I principi dai quali partiamo, le caratteristiche dalle quali partiamo si ramificano in modo diverso per ognuno di noi in base anche agli eventi che attraversiamo nella nostra singolare vita. Le variabili sono così tante che pensare di poter ricondurre tutto ad un semplice copia incolla… è pura follia. Eppure la massa questo cerca e si illude di poter in qualche modo trovare la via dell’ottenimento senza fatica o a carico di terzi. E lo stress persistente aumenta e grava sull’organismo portando con sé una quantità inimmaginabile di problemi di salute che uno specialista può illustrarvi in modo serio, accurato, professionale.

I ruoli variegati dello Stress

Inaspettatamente, nella misura corretta, lo stress* risulta persino utile ed aumenta, ad esempio, la produttività sul lavoro così come migliora i personali risultati sportivi per il semplice richiamo al maggiore impegno. Nella misura corretta però. Tale condizione non deve perdurare. Fasi di stress si possono alternare a cicli di riposo e distrazione ma, se si eccede, se la condizione di stress è intensa e persistente, man mano che ci si avvicina al proprio limite si trasformerà in un trauma che danneggerà realmente strutture del cervello con la relativa perdita di funzionamento dello stesso. Ad esempio stress prolungati producono un eccesso di cortisolo (chiamato per l’appunto l’ormone dello stress) e si avrà un danno permanente all’ippocampo (in realtà agli ippocampi) rendendo impossibile la formazione di nuove memorie.
La produzione di cortisolo pertanto potenzia le prestazioni del cervello solo in una fase iniziale. Un buon equilibrio tra controllabilità e incontrollabilità delle situazioni alterna fasi di sicurezza a fasi di stress permettendo di sviluppare stretegie ottime per la risoluzione di problemi (a patto che nel cervello siano state inserite istruzioni valide su come imparare cose nuove, come verificare quanto si impara, come acquisire esperienza, come nutrire il dubbio**, come trasformare l’esperienza in ciò che occorre a seconda di precise condizioni che si verificano nella propria vita).

*Ovvero la reazione dell’organismo allo stressor, la causa della nostra alterazione.
**Le certezze infatti vi portano a ripetere inesorabilmente i medesimi errori e la frustrazione aumenta tanto più quanto più ci si aspettano alquanto improbabili cambiamenti di risultato.

Attenzione al Cortisolo

In risposta ad una improvvisa situazione di stress le ghiandole surrenali producono inizialmente adrenalina, successivamente cortisolo (entrambi ormoni considerati anche neurotrasmettitori). L’adrenalina, come è noto, aumenta il ritmo cardiaco, la pressione sanguigna e infonde una senso di surplus energetico fondamentale per tutte quelle situazioni del tipo “fight or flight response”, ovvero “combatti o fuggi”. In un secondo momento piccole dosi di cortisolo ci permettono di tornare alla normalità rimuovendo gli aspetti più spiacevoli dello stress. Questa regolazione è fondamentale per la sopravvivenza della specie animale (ma qualcosa di simile avviene anche nelle specie vegetali, cosa che vedremo al completamento della rubrica “I sensi delle piante”, vedi in basso i Link correlati).

Se però la situazione di stress è prolungata nel tempo si registra un aumento del tasso di invecchiamento cerebrale, danni agli ippocampi e, di conseguenza, alla capacità del soggetto di poter apprendere qualcosa di nuovo.
Il cortisolo, inoltre, è in grado di inibire il sistema immunitario (ci si ammala molto più facilmente a partire da un semplice raffreddore) ed interferire con il sistema endocrino (l’insieme di ghiandole del copro umano adibite alla produzione di ormoni).

Abbiate cura dei vostri Ippocampi

Gli ippocampi, che si trovano in una zona che possiamo immaginare come il nucleo dei rispettivi emisferi cerebrali, si relazionano con la memoria e con lo spazio. Per quanto concerne la memoria operano su quella di tipo episodico (esperienze personali) e su quella di tipo semantico (conoscenze di carattere generale) e sono impegnati nel consolidamento della memoria da breve a lungo termine. Un danno agli ippocampi (dovuto ad esempio ad un forte stress prolungato) può danneggiare la capacità di memorizzare nuove nozioni lasciando inalterate quelle già memorizzate. Non ha effetti invece sulla memoria implicita che permette di apprendere nuove abilità manuali (residenti in altre zone del cervello). I Neuroscienziati hanno dimostrato che forme di stress prolungato danneggiano gli ippocampi al punto da atrofizzarli almeno parzialmente.

Attenzione al Glutammato

Una situazione prolungata di stress produce quindi il relativo ormone, il cortisolo, esso a sua volta induce un’eccessiva produzione di un neurotrasmettitore eccitatorio detto glutammato da tenere bene sott’occhio. In dosi nella norma il glutammato contribuisce a regolare lo sviluppo cerebrale ed aiuta processi cognitivi di memoria e apprendimento. In dosi eccessive diviene tossico per i neuroni e porta stati d’ansia e depressione.
L’eccesso di glutammato porta inoltre conseguenze di tipo strutturale per il cervello quali l’atrofia dell’ippocampo e un’ipertrofia dell’amigdala con serie conseguenze di tipo comportamentale (difficoltà di attenzione e di memoria) e di tipo umorale (impulsività e difficoltà di controllo delle emozioni).

Continua…

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Cit. Cartesio, 1630, L’Uomo