Il difficile accesso al mondo del Motorsport

Rubrica: Motorsport | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: Il difficile accesso al mondo del Motorsport

Rispondendo a: Antonio

Antonio scrive: sono un giovane ingegnere attualmente impiegato presso una importante azienda automobilistica italiana. Sebbene stia lavorando già nell’automotive, il mio sogno è lavorare in ambito motorsport (sono specializzato in aerodinamica con un master in aerodinamica dei veicoli da competizione) ma sto riscontrando particolari difficoltà ad entrare in questo “mondo”, il quale sembra abbastanza chiuso e nel quale si entra principalmente tramite conoscenze (e non solo tramite cv). Oltre alla mia passione e al mio percorso di studi, non ho mai avuto opportunità di fare esperienza pratica (non ho familiari o amici meccanici/carrozzieri dove mi sarebbe piaciuto sporcarmi le mani) e non ho sfruttato il periodo universitario per partecipare a programmi come la formula sae, che a quanto pare permette alla maggior parte dei giovani ingegneri di essere assunti da aziende del settore. In particolare sto notando come sia difficile entrare a far parte di team o reparti corsa senza possedere contatti diretti con persone già all’interno di queste realtà o senza aver fatto già un pò di esperienza in pista.

Ho letto il suo blog e ho pensato che forse può darmi qualche consiglio su come muovermi e quali sono le possibili strade da percorrere per raggiungere il mio obiettivo. La ringrazio in anticipo.

Cordialmente.

Buondì Ing. Antonio,
mi scuso per il ritardo nel rispondere ma qui è un trambusto continuo e non ho un attimo libero. Effettivamente non è un caso semplice il suo perché le porte di accesso principali sono proprio l’esperienza pratica e la FSAE. Nel secondo caso però ho potuto osservare come con il tempo non tutti i posti siano stati mantenuti dai giovani ingegneri. Alle volte per l’enorme sacrificio che questo tipo di lavoro e passione comporta, altre volte per mancanza di attitudini emerse nel giro di poco tempo.

Il lato bello, quello che si può mostrare agli amici quando si riesce ad accedere a questo complesso mondo, si fa presto da parte mettendo avanti tour de force a cadenza costante. Ad esempio mi capitava spesso di lavorare la notte per completare l’assemblaggio di vetture per le quali le parti di ricambio non erano arrivate in tempo o perché uno o più piloti avevano avuto guasti importanti o avevano fatto dei fuori pista; altre volte dimenticavo totalmente la bellezza e il fascino di simili purosangue da corsa quando per smontare in fretta e fuga le ruote quasi mi ustionavo per il forte calore trasmesso ai cerchi dai freni e dalle gomme dopo un turno di libere o di qualifiche. Altre volte provavamo e riprovavamo soluzioni tecniche saltando pasti e la cura per noi stessi perché c’era il campionato in ballo (ed i relativi enormi investimenti dei proprietari e dei piloti). Altre volte ancora suggerivo modifiche tecniche di progetto ma dovevo accettare di non esser creduto perché ero il più giovane in squadra e dovevo capire che era normale che non mi ascoltassero.

Poi, ad esempio, nel campionato europeo Renault Sport cambiarono, dietro mie indicazioni, la posizione del radiatore dell’olio del cambio sulle Clio 3.0 V6 ed il materiale, nonché le finiture superficiali, con cui venivano realizzati i supporti motore. Ricordo che un giorno, al circuito di Zandvoort, venne al nostro box un tecnico dell’organizzazione Renault Sport e chiese di parlare con chi disponesse almeno di un inglese scolastico che avrebbe permesso di capirci senza ricorrere ad imporbabili gesti. In quel caso misero avanti me e feci un ulteriore piccolo passo avanti in quel mondo conquistandomi ulteriore fiducia. Oltretutto quel che proponevo, venendo all’epoca dall’Istituto Tecnico Industriale, aveva effettivamente un senso con solide basi tecniche. Certo è che gli altri in squadra, pur ignorantelli in fisica, meccanica, matematica, lingua inglese, avevano massicce dosi di esperienza che io non potevo assolutamente avere. Quindi, assieme, ci completavamo.

Tutto questo accadeva mentre completavo il triennio di Meccanica all’Istituto Tecnico della mia città e, nonostante fossi giovane, avevo già avuto altre esperienze in altre squadre dove iniziai praticamente come garzone già a 16 anni. A quell’età ancor più giovane era dura accettare di essere sfruttati, era dura accettare di non contare nulla, era dura dover stare sempre zitti anche se si aveva una buona intuizione (ma a sedici anni devo essere onesto, il più delle volte, non lo erano), era dura vedere gli altri che facevano lavori importanti sui motori mentre io spazzavo da terra la segatura che assorbiva l’olio caduto ai box, era dura passare interi fine settimana sui libri a studiare motorismo invece di uscire con gli amici. Un sacrificio immane insomma, prima di dar vita a quel tipo di percorso che ti porta a conoscere ingegneri progettisti della Formula 1, della LeMans Series, della MotoGP, della Superbike che ti insegnano cose… cose assurde di un altro pianeta… Persone con le quali mantieni un ottimo rapporto proprio se non chiedi il favore, la raccomandazione, ecc.

Proprio a tal proposito, rispondendo a quanto scrivi, l’unico che personalmente ho conosciuto ed ho visto entrare in un’azienda italiana di supercar con una raccomandazione, è durato poco meno di un anno. Nel motorsport il sistema delle conoscenze-amicizie in realtà non funziona (e questo è un bene): o sei appassionato verace o sei fuori nel giro di poco tempo.

Quando ho iniziato io, ho iniziato giovanissimo (a sedici anni) e sono entrato a lavorare gratuitamente in un team di Turismo in pista Gruppo N e Gruppo A, ma ho spazzato i pavimenti a lungo prima di poter mettere le mani su una macchina da corsa (in quel caso erano Cosworth) e, solo dopo una certa perseveranza, ho avuto accesso a diversi team e, anzi, ho avuto il piacere di essere cercato. Ma questo è accaduto nel giro di oltre 10 anni.

Poi, sinceramente, negli ultimi anni non ho seguito più i cambiamenti su questo fronte perché non sono più interessato a lavorarci dentro come tecnico e mi sto dedicando da una parte a prototipi che amo progettare/costruire in autonomia (ma confesso che la strada prima di arrivare a quel che intendo io realmente è ancora molto lunga), dall’altra alla ricerca tecnica e tecnologica in diversi campi dell’Ingegneria avanzata.

Insomma può accadere che non ti basti più. Può sembrare un assurdo per chi desidera entrarci per iniziare la propria esperienza ma la realtà è che, se si nutre una profonda curiosità, si sa da dove si parte e non si ha la minima idea di dove si possa desiderare di arrivare.

Personalmente non sono nella posizione di poter dare consigli, le variabili sono innumerevoli, ognuno deve trovare il proprio percorso. Sono sicuro che se lo desidera veramente, un modo lo trova sicuramente… Potrebbe trovare ad esempio una strada da percorrere in autonomia per imparare quel che l’appassiona anche senza entrare in un team. Io non posso di certo dirlo, ma non credo sia impossibile. Cercando la soluzione potrebbe osservare una moltitudine di situazioni che non si aspettava e da cui poi se ne diramano altre ancora più inaspettate.

Cordialmente, Raffaele Berardi.

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La macchina da corsa più sottosterzante e sbilanciata che abbia mai visto e sulla quale abbia mai lavorato. Eppure per me, che ero solo un ragazzino con la passione che gli usciva dai pori della pelle, costruirla, assemblarla, provarla, ascoltarla in giro per il mondo, era il massimo.

 Estremamente più bassa e larga della limitata sorella minore stradale, con il doppio scarico centrale che borbottava fiamme in staccata e quella prepotente ala posteriore che stabilizzava il retrotreno, era cattiva e comunicativa lasciando presagire immediatamente le sue intenzioni.