Che cos’è il Rocker Boss?

Rubrica: Incominciamo a parlare di automobili | Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Dall’inglese all’italiano, passando per il motorismo
Risponendo a: Laura C.

Laura C. scrive: Egregio Raffaele Berardi, sono una traduttrice, lavoro per alcune società di doppiaggio. Mi permetto di contattarLa per chiedere un’informazione relativa al mio lavoro. Sto infatti traducendo un episodio di una serie televisiva canadese ambientata in una piccola compagnia aerea, e vorrei conoscere il Suo parere su una battuta forse banalissima ma che per me, non esperta di motori, può essere difficile tradurre correttamente.

Il meccanico della compagnia, per dire a una persona che è un’incompetente in fatto di motori di aereo, le dice: “You don’t know a poppet valve from a rocker boss!”. Cioè: Tu non sai distinguere una valvola a fungo da…”. Cosa? Credo che il rocker sia il bilanciere, ma quale parte del bilanciere può essere definita “boss”, e potrebbe essere confusa con una valvola a fungo?

Spero Lei possa essermi d’aiuto. Grazie.

Gentile Laura, La ringrazio per avermi contattato, mi fa ovviamente piacere. Gli organi indicati nel dialogo in realtà non si assomigliano ma si trovano semplicemente allocati in posizioni una prossima all’altra. Ad ogni modo la risposta alla sua domanda è:

Poppet valve, ovvero, come già mi ha scritto, valvola a fungo. Nel gergo motoristico la chiamiamo semplicemente valvola (avrà sentito dire ad esempio delle vetture stradali “La tale vettura è dotata di motore 16 valvole”, difficilmente sentirà dire “La tale vettura è dotata di motore 16 valvole a fungo”. Vengono chiamate “valvole a fungo” quando sono comparate a dispositivi meccanici alternativi che svolgono la stessa funzione basandosi però su altri principi; ad esempio “le valvole a fungo (poppet valve) lavorano con moto rettilineo alternato mentre le valvole rotative (rotary valve) lavorano seguendo un moto circolare”. Se la conversazione si svolge tra tecnici, come mi ha accennato, la dicitura “valvola a fungo” ci può stare senza problemi. Ovviamente la scelta tra il termine valvola e valvola a fungo la valuterete voi in base al labiale, immagino.

Rocker boss, ovvero il supporto che vincola il perno attorno al quale si muovono i bilanceri delle valvole a fungo. I bilanceri possono oscillare come un dondolo, il perno che permette questa oscillazione è fermato all’interno del rocker boss. Il rocker boss non è altro che una sede ricavata nella parte superiore della fusione di alluminio della testata. Una testata può avere uno o più rocker boss a seconda del numero del numero dei cilindri del motore, delle valvole di cui è questo è dotato e dello schema della distribuzione scelto e quindi dei bilanceri necessari. Tradurlo in italiano con un termine breve, sovrapponibile, è cosa ardua. Se la frase è fine a sé stessa si può generalizzare (mantenendo comunque professionalità e rigore tecnico) e dire:

“Tu non sai distinguere una valvola a fungo da una testata!”
oppure
“Tu non sai distinguere una valvola da una testata!”
oppure
“Tu non sai distinguere una valvola a fungo dalla sede di un bilancere!”
oppure
“Tu non sai distinguere una valvola a fungo da un porta bilancere!”

Onestamente credo che persino un Ingegnere di Formula 1 italiano si chiederebbe “E cos’è adesso un porta bilancere?”. Questo per dire che si possono cercare tanti modi per far stare la traduzione italiana all’interno di quella americana, però…
La parola “testata” credo sia quella che meglio può assolvere i suoi compiti. Ad ogni modo le ho allegato un’immagine con l’indicazione delle voci per ulteriore chiarezza.

Rocker Boss - Supporto perno bilancere punterie

Il Rocker Boss non ha una traduzione in italiano diretta, si tratta
comunque del supporto che sostiene il perno del bilancere delle punterie.

Stile di guida e longevità del motore

Rubrica: Incominciamo a parlare di automobili | Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Influisce uno stile di guida vivace sulla longevità del motore?

Risponendo a: Mattia

Mattia scrive: Possiedo una Smart diesel del 2001 che ha percorso attualmente 175000 km, con nessuna sostituzione importante (solo l’alternatore che si è bruciato a 120000 km e la valvola egr rimossa dopo che questa si è bloccata a 112000 km). Ultimamente, utilizzo nel gasolio l’additivo per pulire gli iniettori e ogni accelerazione la faccio premendo a manetta l’acceleratore, ma non arrivando al limite dei giri (cambio a 3000 giri/min), da quando faccio questo sento il motore più pronto. Ora, una guida di questo tipo usurerà precocemente il motore? Perchè se è vero che accelerando a manetta si sfrutta tutta la potenza e quindi l’usura sarà maggiore, è anche vero che si raggiunge prima la velocità di crociera, che poi naturalmente mantengo con un filo di gas, inoltre dovrei mantenere più pulito il sistema di alimentazione.  Quindi qual è il suo parere? Grazie.

Quando acceleri a fondo in realtà non sfrutti tutta la potenza, infatti se guardi le curve caratteristiche di potenza e coppia del tuo motore ti accorgerai che ad un dato numero di giri corrisponderà una data potenza ed una data coppia (ad esempio a 3.000 giri potrebbe trattarsi di un valore prossimo al 50% della potenza massima erogabile). Il parametro che invece va al massimo è il carico ossia l’azione sull’acceleratore e quindi la completa apertura della farfalla. La centralina elettronica elaborerà la curva (nelle tre dimensioni) più idonea di mappatura considerando quindi il carico al 100%. Non è detto che in queste condizioni si ottenga sempre una risposta pronta, potrai accorgerti infatti che in determinate condizioni (sia di utilizzo del motore che atmosferiche) la risposta del motore migliorerà alleggerendo l’azione sul gas piuttosto che lasciandola costante o aumentandola. Quando si guida in questa modalità, ovvero con un carico elevato ed un ridotto numero di giri, le temperature degli organi di manovellismo e distribuzione aumentano per molteplici motivi. La portata e la pressione dell’olio non risultano ottimali e non permettono di “asportare” correttamente calore dagli organi sollecitati, stesso dicasi per l’impianto di refrigerazione che non estrae sufficiente calore dalle pareti dei cilindri e non ne scambia a dovere con l’esterno tramite il radiatore. In particolar modo i pistoni aumentano di temperatura e non riescono a trasferire una buona quantità di calore alle pareti dei cilindri. Le conseguenze possono pregiudicare l’affidabilità e la longevità del motore. A lungo andare infatti si possono verificare deformazioni degli organi e trafilaggi di olio con le conseguenze che ne derivano. Certo nel tuo caso si tratta di piccoli frangenti, inoltre diverse case automobilistiche consigliano questo tipo di guida motivandola come un aiuto alla riduzione dei consumi di carburante (e quindi delle emissioni). Ad ogni automobilista la propria scelta quindi. Per quanto concerce invece l’impianto di alimentazione, io personalmente per tenerlo in ordine, preferisco più che altro cambiare qualche volta di più il filtro del carburante. Se questo è sempre efficiente è molto difficile che gli iniettori soffrano di qualche patologia a meno che non si tratti di un difetto caratteristico. Aver percorso 175.000 km con un motore di piccola cilindrata senza che vi sia stata la necessità di effettuare particolari riparazioni non è affatto male, il traguardo dei 200.000 km è oramai vicino.

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Motore Smart 3 cilindri Motore Smart 3 cilindri Motore Smart 3 cilindri Motore Smart 3 cilindri

Scatti di un frangente del montaggio di un motore 3 cilindri (che equipaggia la piccola Smart)
in seguito alle operazioni di rettifica necessarie al ripristino dello stesso.
Per cortesia dei miei amici e colleghi Giorgio e Peppe.

Quando un brevetto non decolla

Rubrica: Sogni il tuo brevetto? | Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Brevetti senza ritorno atteso
Risponendo a: Fabio

Fabio scrive (riferendosi all’articolo inerente il brevetto della forcella a parallelogramma De Bei): Non posso che restare ammirato per la passione che ha animato il meraviglioso lavoro di equipe che ha portato alla realizzazione della geniale intuizione del Sig. De Bei. Io sono stato meno fortunato in tal senso il mio brevetto di sospensione a parallelogramma non ha ancora avuto l’attenzione che meriterebbe. Complimenti vivissimi.

Anche la storia del brevetto della sospensione De Bei non ha poi avuto un buon seguito… e questo nonostante all’epoca (tendiamo a pensare) fosse tutto diverso. Oggi non si può più sperare di cedere un brevetto a qualcuno. E’ davvero molto difficile che ciò possa accadere per variegati motivi che sono stati trattati in diversi articoli che si occupano del tema “brevetti” presenti su questo blog (vedi i link correlati in basso). Magari un’idea è ottima nella sua completezza o un ottimo punto di partenza per uno sviluppo di tutto rispetto, ma…

Strategie vincolanti

Oggi purtroppo, o per fortuna, sì brevetta un prodotto solo ed esclusivamente per la tutela legale, più che per la sua concessione/vendita, dopodiché lo si produce autonomamente e lo si fa conoscere al grande pubblico che sarà chiamato a scegliere e a fare valutazioni (con i rischi annessi che comporta dato che, spesso, il grande pubblico non è realmente preparato su un determinato tema ma segue più idee di tendenza; basti pensare a ciò che è successo con il fotovoltaico dove quasi nessuno ha capito i veri motivi per cui dovrebbe essere installato o meno e con quali modalità e tipologie di impianto). E’ per questa ragione che le aziende (anche se non è del tutto detto) hanno qualche possibilità in più di riuscire nell’impresa.
In ogni caso resta sempre il fatto che se brevetti e poi non realizzi e distribuisci ciò che hai brevettato, diverse aziende aspetteranno la scadenza del tuo brevetto per copiarlo senza offrirti un centesimo (a patto che si tratti realmente di un prodotto valido e dotato di potenzialità). Molti non sanno (o non hanno modo di sapere) che tanti grandi nomi, in questi anni, hanno accumulato debiti e perdite talmente grosse che non possono rischiare più e non spendono un solo soldo al di là dei piani già previsti.

Un ostacolo da raggirare

Un tale grande vincolo può portare ad un salvataggio in extremis oppure alla catastrofe totale dell’azienda (la storia insegna che è più facile che si verifichi la seconda evenienza); e mentre questo fenomeno si sparge silenziosamente (per le orecchie del grande pubblico ancora illuso da virali campagne di marketing o nomi storici generanti fissazioni e fanatismo) quasi nessuna azienda ha un solo minuto di tempo per stare a guardare le idee altrui. Se lo fanno non lo fanno nell’ipotesi di comprare ma nell’intento di trovare una via, una soluzione per “avere” senza troppi rischi né ostacoli. Del resto vantano appositi uffici preparati sul tema e pool di legali, specializzati nel trovare falle e cavilli, che un singolo generalmente non si può permettere.

Valutazioni sulla fattibilità, scommesse sul sicuro

Solo chi scommette sul “sicuro” porta a casa un bottino e solitamente lo fa conoscendo in anticipo informazioni che non sono ancora di dominio pubblico. Le storie fortunate basate sull’azzardo sono assai poche. Chi fa “la conoscenza” con un brevetto proposto da un amante della tecnica, dovrà investire tempo e risorse anche solo per capire come sia realmente l’oggetto in questione, i suoi punti di forza, le sue pecche, la sua semplicità di realizzazione, la funzionalità, l’utilità e il vantaggio che può offrire, chi è realmente disposto a farne uso, quanto pagherebbe per usufruirne e così via. Successivamente dovrà investire ulteriori risorse per cercare di svilupparlo e portarlo al livello corretto in cui può funzionare e “potrebbe” raggiungere una determinata fascia di pubblico (non è facile soddisfare tutti e la stragrande maggioranza delle aziende non si illude di farlo scegliendo giustamente un target preciso).
Così il più delle volte, in riunione, il pensiero che prende il sopravvento è legato all’enorme spesa da affrontare anche solo per capire il brevetto; quello successivo invece può, in linea di massima, essere così espresso: “Avevamo altri piani, continuiamo ad investire su quelli già in fase di sviluppo!”. Questo comportamento, tra i più contraddittori ed al centro di numerose critiche da parte di chi ama l’imprenditoria, è quello che va per la maggiore in quanto capace di conferire una sensazione di sicurezza e coscienza pulita anche quando le situazioni iniziano a barcollare.
Del resto è un comportamento spesso errato ma naturale, un po’ come quando l’automobilista medio si “attacca ai freni” durante una manovra di emergenza per la quale l’uso dei freni è sconsigliato al fine di recuperare la stabilità del mezzo… è più forte dei più, tenendo giù il pedale del freno si sentono più sicuri anche se ormai stanno per collidere con un ostacolo. Solo una lezione con un bravo istruttore toglie questo vizio. Non ci sono però istruttori in ambito tecnologico, ognuno con il proprio livello di esperienza arriva dove la mente lo proietta e, se si fa troppo da soli si rischia di non avere sufficienti risorse, se ci si affida troppo agli altri riparte il meccanismo dell’azzardo (e della fiducia… gli opportunisti sono sempre dietro, talvolta affacciati dall’angolo).

La visione distorta del pubblico

Purtroppo la pubblicità offre spesso al pubblico altre visioni di un marchio o di un prodotto e conferisce l’immagine di ciò che si vuol sembrare, o che si vorrebbe essere, piuttosto che di quello che si è. Del resto la pubblicità serve proprio a questo, catturarti facendoti credere che…
Così tante persone creative hanno pensato/sperato che il loro lavoro potesse essere apprezzato in certe realtà, ma troppo pochi ancora comprendono che devono far da soli tutto, dal progetto, allo sviluppo dell’idea, al brevetto, alla realizzazione dello stesso, allo studio e la messa in pratica del metodo di ingresso sul mercato e di distribuzione. Oggi le idee sono necessarie ma non sufficienti, oggi è imperativa la strategia, il contorno, tutto ciò che ruota attorno ad un’idea. Avere solo l’idea, ripeto, purtroppo o per fortuna, è riduttivo per il periodo storico che stiamo attraversando e, forse, lo è stato sempre. Personalmente credo che:

«Chi ha una bella idea è un talento, chi trova il modo di realizzarla è un genio.»

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I brevetti con più chance di successo

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Nell’immagine un giornale elettronico che sfrutta la tecnologia E-Ink. Spesso non ci si
pensa (o non lo si crede) ma più è semplice un’idea e più è facile che riscuota successo.
Paradossalmente, poi, le idee più semplici le possiamo realizzare persino da soli se
siamo preparati a fondo su un particolare tema.
Nel prossimo articolo “I brevetti con più chance di successo” analizzeremo come e
perché delle semplici microsfere caricate elettricamente raggiungano un successo
globale mentre un complesso sistema di leveraggi, per quanto utile, rischia di restare
per sempre solo un disegno nel cassetto.
Image’s copyright: www.callways.fr

Alberi motore in titanio: ecco perchè no

Rubrica: Curiosità tecnica da corsa | Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Come mai non vengono realizzati alberi motore in titanio?
Risponendo a: Federico

Federico scrive: Come mai risultano irrealizzabili alberi motore in titanio?

Realizzare un albero motore in titanio sarebbe notevolmente complicato per l’estrema difficoltà di lavorazione che il materiale comporterebbe. Il titanio, o meglio le leghe di titanio, sono molto difficili da lavorare alle macchine utensili nonostante gli elementi di alligazione che evitano rotture pressoché istantanee nel momento in cui l’utensile inizia a lavorare. In fin dei conti poi il titanio non offre particolari vantaggi su un albero motore per la cui costruzione, tra le altre cose, richiede dimensionamenti molto maggiori rispetto alle più collaudate leghe d’acciaio altoresistenziali. Dimensionamenti maggiori quindi più attriti e più difficoltà di lubrificazione dei perni di banco e di biella. Senza considerare poi che dimensionamenti maggiori comportano volumi maggiori del basamento motore che portano inevitabilmente ad alzare il baricentro del corpo vettura la quale, se dotata di un albero motore “estremo”, avrà compiti altrettanto estremi cui adempiere.

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Materiali: Albero motore
Sezione Motorismo della pagina specifica Motorsport

albero_motore_acciaio_500px.jpg

Albero motore in acciaio per motore motociclistico 4 tempi.
Immagine tratta da una ricerca sul web. Se siete i proprietari del diritto d’autore dell’immagine,
potete chiederne la rimozione o indicarci il copyright da specificare. Image taken from research
on the web. If you own the copyright of the image, you can request its removal or indicate the
copyright to be specified.

La rotazione del motore può indurre una sbandata in staccata?

Rubrica: Curiosità tecnica da corsa | Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Se si stacca energicamente e si scalano repentinamente le marce, l’elevato regime di rotazione del motore può generare forze che inducono un testacoda?
Risponendo a: Stefano

Stefano scrive: Fra le numerose forze che agiscono sul veicolo (peso, forza centrifuga, forze di spinta delle ruote motrici, ecc…) debbono essere annoverate anche quelle indotte dalla rotazione del motore. Chiunque può facilmente rendersi conto che esse esistono, sol che esegua questo facile esperimento. Si prende una vettura con elevata potenza e motore longitudinale, ferma su un pavimento perfettamente piano. Si avvia il motore e si pone il cambio in folle. A questo punto si accelera fino a fondo corsa. La vettura compie un movimento di rollio. Tale rollio si manifesta secondo un senso di rotazione opposto rispetto a quello del motore. Tale effetto determina una compressione degli ammortizzatori e delle molle sul lato della vettura soggetto al caricamento ed un fenomeno opposto sull’altro lato. Di conseguenza si ha un movimento di tutte le sospensioni e, per effetto del movimento delle sospensioni, la variazione degli angoli assunti dal piano longitudinale delle ruote rispetto al pavimento. Immaginiamo adesso una vettura che procede lungo una traiettoria rettilinea su una strada piana. Ad un certo momento il pilota, sempre mantenendo lo sterzo dritto, frena con forza e scala le marce. Il fenomeno di cui sopra, ossia la variazione dell’angolazione del piano delle ruote anteriori, può determinare forze orientate lungo una direzione inclinata rispetto alla traiettoria rettilinea, tali da disallineare il corpo vettura rispetto alla sua traiettoria dritta e da indurre un testacoda? Ho formulato questa ipotesi in seguito all’osservazione di vari testacoda compiuti da vetture in fase di staccata, prima però che il pilota iniziasse a ruotare il volante. Infatti, il testacoda che avviene quando la vettura marcia lungo una traiettoria curvilinea, ha varie spiegazioni, ben note a tutti. Il fenomeno che ho descritto, invece, mi pare difficilmente spiegabile altrimenti.

Quando una vettura da corsa procede lungo un rettilineo a forte velocità e poi si appresta alla staccata ed all’ingresso in curva, alle volte può perdere il suo equilibrio ed entrare in testacoda (come si può osservare guardando le gare). Questo fenomeno però non è influenzato dalla rotazione del motore, bensì dai trasferimenti di carico o dalle differenze di motricità che possono innescarsi a seguito di vari fenomeni.

Un sobbalzo, difficilmente visibile tramite le telecamere, può portare ad una perdita di contatto di una o più ruote inducendo uno squilibrio considerevole che può terminare o meno in un testacoda a seconda di come il pilota sta agendo sui comandi. In altri casi è il pilota stesso a commettere l’errore, in un momento di particolare stress, frenando nel momento sbagliato (basta un decimo di secondo di ritardo) ed iniziando quindi la sterzata mentre la pressione sul freno è ancora troppo elevata. Il fenomeno può indurre un testacoda o una sbandata di diversa entità a seconda dei fattori in gioco (setup, trasferimenti di carico, forze agenti sul veicolo in quel dato istante, reazioni del pilota, risposta del veicolo) e del settore del tracciato (pendenze, asfalto, geometrie del percorso). L’angolo di sterzata, il carico presente su ogni pneumatico, il settaggio delle sospensioni e la presenza di eventuale sporco o imperfezioni sul tracciato giocano un ruolo determinante affinché un sobbalzo si trasformi in una sbandata o, nel peggiore dei casi, in un testacoda.

Quando la vettura è ferma al box e vengono impresse forti accelerazioni a folle si avvertono in effetti delle piccolissime variazioni dei valori rilevati dai giroscopi di bordo (collegati alla telemetria). Ovviamente le accelerazioni cui è soggetto il manovellismo con la vettura ferma in folle ai box sono maggiori rispetto a quelle subite dallo stesso in gara. Questo perchè con la vettura in folle il motore non è chiamato ad affrontare alcun carico (detto volgarmente, va a vuoto). Nonostante ciò tale fenomeno è di un’entità talmente contenuta che non può comportare significativi movimenti delle sospensioni. Per di più quando la vettura si muove in velocità il discorso cambia nettamente. Le forze che agiscono sul veicolo da corsa durante un rettilineo sono talmente elevate (effetto inerziale) che la rotazione del motore è considerata trascurabile.

I motori ad elevate prestazioni, ad esempio quelli da F1, sono oltremodo equilibrati fin dal principio grazie agli schemi scelti per la disposizione dei cilindri. Le forze di massa libere date dal moto alterno di bielle, pistoni e spinotti tenderanno ad annullare il loro effetto reciprocamente. Laddove un motore presenti invece degli squilibri importanti nella rotazione del suo manovellismo, viene dotato di contralberi di equilibratura che ne annullano, o riduco al minimo, gli effetti.

Se anche venisse rimosso un eventuale contralbero di equilibratura, gli squilibri indotti dal movimento delle masse alterne, e da quelle in pura rotazione, non riuscirebbero a provocare un testacoda in frenata per effetto della scalata. Se così fosse significherebbe che l’equilibrio della vettura è sempre e costantemente precario. Le masse in gioco nel manovellismo, nonostante siano fortemente accelerate in motori che raggiungono elevati regimi di rotazione, non hanno il potere di innescare un testacoda.

Il regime di rotazione può essere imputato come causa di un eventuale sbandata o, al limite, testacoda, solo per ragioni legate alla variazione repentina di coppia motrice disponibile alle ruote posteriori, ad esempio in caso di problemi connessi con la gestione elettronica (controllo di trazione, differenziale elettronico, azionamenti del cambio, antispin, torque vectoring brake, ecc.).

Quindi ricapitolando l’auto da corsa che apprestandosi all’ingresso in curva entra in testa coda può trovarsi in una simile situazione prevalentemente a causa di:

Trasferimenti di carico anomali difficilmente osservabili e valutabili in tv.
Una sconnessione sull’asfalto che produce importanti sobbalzi e perdita di aderenza.
Un’errata azione sui comandi da parte del pilota.
Una fascia di asfalto che offre differente grip alle ruote da un lato della vettura.
L’appoggio delle ruote, solo da un lato (anche solo per una piccola porzione) su erba o bagnato.
Problemi di gestione elettronica.

Sbandata in staccata

Nell’immagine una simulazione eseguita poggiando una minima porzione dei pneumatici del lato
destro del veicolo sull’erba mentre si agisce con vigore sui freni. Il medesimo fenomeno si verifica
anche a seguito di problemi di elettronica nella gestione della trasmissione o a causa della
presenza di sconnessioni sull’asfalto.

Come si ottengono elevate potenze specifiche nei motori aspirati?

Rubrica: Curiosità tecnica da corsa | Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Quali sono gli accorgimenti ingegneristici per far andare forte un motore aspirato?
Risponendo a: Luca

Luca scrive: Da appassionato sono stato sempre affascinato da esempi di tecnica motoristica quali la McLaren F1 del 93, la Ferrari 458 nonchè le moderne auto da F1 come esempi di motori non sovralimentati dalle prestazioni sorprendenti. Quali sono quindi gli accorgimenti ingegneristici per far andare forte un motore aspirato? Ed è più “nobile” costruire un performante motore ad aspirazione naturale piuttosto che percorrere la “scorciatoia” della sovralimentazione?

A mio avviso è più nobile realizzare un motore aspirato ad elevata potenza specifica, piuttosto che uno sovralimentato, per il puro e semplice motivo che è molto ma molto più difficile tirar fuori potenza e coppia e richiede la conoscenza di una miriade di dettagli legati alla progettazione, all’esperienza costruttiva ed alle problematiche di funzionamento, che caratterizzano la preparazione di un motorista. Naturalmente vi sono ingegneri motoristi che nutrono una grande passione verso i sistemi di sovralimentazione e che non lo fanno per percorrere una scorciatoia. Diversi hanno dato tanto al mondo dell’automobile tribolando non poco. Il primo esempio che mi balza alla mente è il progettista del motore della Lancia Delta S4, l’Ingegner Claudio Lombardi (la Lancia Delta S4 rappresenta un caso di vera eccellenza nel panorama del motorismo sovralimentato).

E’ inoltre opportuno osservare che di recente i motori sovralimentati stanno tornando di interesse tecnico per via del cambiamento regolamentare della F1 a partire dalla stagione 2014. Nuove soluzioni a cavallo tra il K.E.R.S. ed il Turbo Compound si stanno facendo strada offrendo una ventata di interessante innovazione tecnologica. Certo è che si sono abbassati i regimi di rotazione ed il sound risulta meno accattivante, ma lo sviluppo non tarderà ad arrivare. Vedi i link in basso.

Terminata la digressione torno alla tua domanda. Ottenere grandi prestazioni da un motore aspirato è possibile principalmente permettendogli di raggiungere elevati regimi di rotazione (ciò implica la progettazione di un manovellismo estremamente costoso) e quindi effettuando un numero elevato di fasi utili nell’unità di tempo. Questo è possibile improntandolo per il funzionamento ottimale agli alti regimi, cosa che solitamente accade a scapito di una perdita prestazionale ai bassi. Laddove però sono consentite fasature variabili il problema può essere in parte risolto con risultati soddisfacenti. Stesso dicasi per la variabilità delle situazioni di aspirazione. Per ottenere quindi dei risultati soddisfacenti si deve cercare un compromesso tra i materiali impiegati, le sezioni adottate nel progetto, la massa di ogni singolo organo che costituisce il motore, la relativa ottimizzazione topologica affinché a tanta leggerezza corrisponda sufficiente resistenza, le geometrie caratteristiche (alesaggio, corsa, forma dei pistoni, delle bielle, dell’albero a gomiti, lunghezza, diametro e angoli dei condotti in testata, forma delle camere di combustione, ecc.), il dimensionamento e la fasatura della distribuzione. Il tutto in funzione delle prestazioni desiderate e della destinazione del progetto che ne pregiudica naturalmente la durata. Più il motore è esasperato e meno vita utile avrà. Succede anche in natura dove animali con un battito cardiaco più elevato hanno una vita decisamente più breve di quelli con un battito lento.

Una grandezza fondamentale per valutare la riuscita di questi intenti è la PME, ovvero il lavoro effettivo per ciclo ed unità di cilindrata. La Pme è il lavoro utile fornito ad ogni ciclo dall’unità di cilindrata. Quindi è improprio per molti ingegneri chiamarla pressione media effettiva, tuttavia essendo dimensionalmente, e quindi per l’unità di misura, una pressione (si indica in MPa Mega Pascal), in tutti i testi di ingegneria e motorismo la si chiama così.

Il problema più grande, che solitamente non è noto agli appassionati, è che per reperire le formule per progettare un buon motore occorre mezz’ora, mentre per risolvere tutta la serie di problemi che puntualmente si verificano in progettazione, ci vogliono mesi, organizzazione, esperienza ed una profonda attenzione agli errori che possono costare davvero caro per un’azienda così come per un privato che desidera tentare di fare anche solo un monocilindrico ricavato dal pieno (non sembra ma in Italia, per fortuna, ci sono anche tante persone che riescono privatamente in cose all’apparenza quasi impossibili). Se ti interessa puoi visitare un esempio di problematiche tecniche cui è andata in contro la Lamborgini nella progettazione del motore L539 della Aventador, trovi il link in basso.

Infine è importante sottolineare che quanto riportato costituisce la sintesi della sintesi di un argomento enormemente più vasto che non può essere riassunto in breve per la sua estrema complessità. Anche l’esempio del caso Lamborghini appena linkato è assai limitato rispetto alla realtà.

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E.E.R.S. Exhaust Energy Recovery System
2014: Odissea nella Formula 1
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 motore_aspirato_500px.jpg

Image’s copyright: BMW

Il pedale della frizione nelle simulazioni

Rubrica: Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Quanto è utile il pedale della frizione nelle simulazioni?

Rispondendo a: Alessandro

Alessandro scrive: Vorrei chiedere un illuminante parere riguardo l’impiego del pedale frizione, quindi del cambio, nei SIM. Passando da GT5 a Race07, sto scoprendo i pregi dei sim per pc ma mi chiedo se valga la pena di sostituire il mio Logitech Driving Force GT con pedaliera “acceleratore/freno” e un sequenziale (che non uso mai a favore dei minipaddles sul volante), con una periferica più moderna e soprattutto dotata di cambio ad H e frizione. Mi chiedo a questo punto che senso abbia installarla sulle varie pedaliere Logitech, Trustmaster, Fanatec, ecc..

Generalmente il pedale della frizione non viene utilizzato da chi utilizza simulatori di guida o pseudo tali, si tratta però di un grave errore perchè i vantaggi che può dare non sono pochi. Tuttavia, piuttosto frequentemente, gli utilizzatori di sim guidano effettuando manovre che io definisco di tipo “gaming” (ossia basate su astuzie che permettono di ottenere vantaggi di velocità e stabilità del veicolo solo su sim, fedeli o arcade, ma non nella realtà). Tali manovre permettono di ottenere vantaggi superiori a quelli che si otterrebbero adottando una guida realistica accompagnata dall’uso della frizione. Ci sono diverse situazioni in cui l’utilizzo di questo pedale può essere impiegato con successo per variare la coppia motrice (in partenza, in frenata, in scalata, in situazioni di emergenza, in sbandata, in testacoda, ecc.), si tratta però di situazioni che preferisco non riportare dettagliatamente perchè si tende poi a provarle su strada (in Italia non c’è la cultura di andare in pista purtroppo…) generando situazioni pericolose. Io personalmente su Live for Speed l’ho sempre utilizzata in tutte le situazioni, se non altro sui veicoli che ne sono provvisti anche nella realtà, mentre sui veicoli di formula solo per partire. Personalmente non posso consigliarti un volante anziché un altro in quanto ho provato un solo marchio e non posso effettuare confronti che siano completi e imparziali. Posso però dirti che sono stato piacevolmente colpito dall’esperienza avuta con una nota azienda Svizzera e, in particolar modo, con il servizio di assistenza tecnica che si è rivelato molto serio (vedi l’articolo “Prodotti difettosi: i disagi dell’ecommerce“).
Quindi concludendo è molto probabile che l’utilizzo del pedale della frizione non ti dia alcun vantaggio in termini di tempo sul giro in quanto le manovre di tipo gaming sono molto più redditizie nel mondo virtuale, resta però il fatto che la frizione risulta fondamentale se si stanno effettuando simulazioni a scopo tecnico, sempre tenendo conto che anche il migliore tra i simulatori si distanzia notevolmente dalla realtà e che non è possibile andar forte nella realtà se si è gagliardi con il simulatore mentre il contrario è possibile ma non scontato. Sim come GT5 e Race07 sono piuttosto arcade ed i modelli fisici perdonano molti errori che nella realtà si tramuterebbero in situazioni fortemente critiche. Assetto corsa l’ho provato in questi giorni e, sebbene non sia male, i creatori sostengono che anch’esso sia un arcade. LFS (Live for Speed) e NetKar Pro sono a mio avviso i migliori in assoluto e riescono a riprodurre molte delle situazioni che si verificano nella realtà durante la guida in pista. Il gioco online con LFS è ricco di funzioni mature e funzionali mentre lo stesso non si può dire di NetKar Pro che accusa diversi deficit nell’online gaming. Anche rFactor risulta piuttosto semplificato da un punto di vista del motore fisico mentre non ho ancora idea di come sarà la versione 2 per la quale però si prevede un notevole passo avanti verso una simulazione di buon livello. Ci sono poi i simulatori professionali, dove la frizione è d’obbligo, nei quali si ricreano le situazioni in cui si troveranno veicoli di nuova progettazione, tuttavia non sono dei videogiochi anche se sembrano tali, inoltre costano cifre da capogiro e non danno possibilità di generare sfide o corse online. Infine ci sono i sim professionali per il grande pubblico molto simili a quelli utilizzati dai piloti di F1 (solo allo scopo di imparare le curve e ricordare le marce utilizzate nei vari settori) che possono essere noleggiati da chiunque lo desideri (vedi l’articolo “Simlazioni in grande stile“).

 pedaliera_simulatore_guida.jpg

Image’s copyright: fanatec.com
Reworking image by: ralph-dte.eu

Il percorso di studi più azzeccato verso il mondo dell’Automotive

Rubrica: Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Il percorso di studi più azzeccato verso il mondo dell’Automotive
Rispondendo a: Andrea S.

Andrea scrive: Salve, sono un studente di ingegneria industriale al terzo anno con la passione dei motori. Non nascondo il desiderio e l’ambizione di voler un giorno lavorare per una casa automobilistica o comunque nel mondo dei motori e del motorsport. Trovo molto utile e ricco di informazioni il Suo sito, completo da ogni punto di vista! Essendo Lei del settore, potrebbe illustrarmi quale laurea magistrale potrebbe aprirmi, più di altre, le porte dell’industria motoristica e automobilistica? Ingegneria del veicolo oppure ingegneria meccanica? Grazie mille e buon lavoro!

Sinceramente l’ingresso nell’industria automobilistica dovrebbe essere agevolato da una Laurea in Ingegneria del Veicolo, tuttavia una Laurea in Ingegneria Meccanica è più completa e ti permette teoricamente di entrare a far parte di molti più settori nel caso uno dei tanti andasse in crisi (ciclicamente succede a tutti i settori). Volendo, una Laurea in Ing. Meccanica, può essere completata con dei Master dedicati qualora si desiderasse orientare la propria specializzazione in una specifica direzione. Una Laurea in Ingegneria del Veicolo può darti un accesso più agevolato ad inizio carriera ma potrebbe negarti in futuro la possibilità di effettuare delle variazioni. Ovvio che se sei estremamente appassionato di quest’unico settore la cosa non ti crea problemi a condizione che non vengano meno le offerte di lavoro.
Per evitare delusioni però è opportuno rendersi conto che l’ingresso in un settore è frutto di tanti fattori che in un determinato istante coesistono, bisogna infatti vedere come un dato settore sia competitivo nell’istante considerato, è necessario valutare le capacità individuali (preparazione, professionalità, capacità di concretizzare, capacità di lavorare in gruppo, capacità di far fronte a situazioni di stress, sollecitazioni e problemi, esperienze maturate extra-studio) e, non lo nascondo, avere anche un po’ di buona sorte.
Io personalmente sono studente in Ing. Meccanica ma sto ritardando la conclusione degli esami perchè ho iniziato con le tue stesse intenzioni e poi, durante gli studi, a seguito anche di diverse esperienze extra-studio, mi sono ritrovato a desiderare cose diverse dal principio, generalmente più complesse. Così, se una volta non vedevo altro che motori e sostenevo che non mi interessassero telai, sospensioni e quant’altro, oggi mi ritrovo ad iniziare le prime esperienze di progettazione di veicoli destinati a puri test di cui, guarda un po’, l’unica cosa che non seguo (in questo progetto) sono proprio i motori i quali, per semplicità progettuale, prevedo di prendere pronti da terzi.
Insomma la scelta è ovviamente personale, tuttavia prova a fare dellle ipotesi circa il futuro. La Laurea in Ing. del Veicolo è sicuramente più adatta se non intendi effettuare dei cambiamenti futuri e se cogli le occasioni giuste, la Laurea in Ing. Meccanica, invece, è più adatta se intendi lasciare diverse porte aperte verso il futuro in ambito meccanico ma potrebbe rendere un po’ più difficile il tuo accesso al mondo dell’Automotive. Prendi comunque quanto ti ho scritto come un modesto pensiero personale, un parere assolutamente non definitivo.

Bozzetto vettura formula

Se un corpo estraneo entra in un pneumatico…

Rubrica: Le domande dei lettori
Titolo o argomento: Ipotesi dei danni provocati dall’ingresso accidentale di un corpo estraneo in un pneumatico in fase di montaggio
Rispondendo a: Franco e amici dalla Svizzera

Se ad esempio dovesse entrare accidentalmente un bullone in un pneumatico durante la fase di montaggio dal gommista, cosa succederebbe? Si potrebbe bucare o deformare il pneumatico dall’interno? Durante la fase di bilanciamento ci si accorgerebbe del corpo estraneo?

Risposta

Premesso che un corpo estraneo, il quale inavvertitamente entra all’interno di un pneumatico in fase di montaggio, non può avere dimensioni e massa elevate (altrimenti sarebbe chiaramente visibile all’operatore oppure non riuscirebbe a passare), le ipotesi che seguono fanno riferimento all’ingresso inavvertito di un bullone (vite + dado) oppure di un oggetto di simili proporzioni e forma irregolare all’interno dell’insieme cerchione-pneumatico durante la fase di montaggio di quest’ultimo.

Il fatto è che la massa di un bullone, accelerato all’interno di un pneumatico, temo non sia sufficiente per poter deformare il pneumatico stesso dall’interno. L’armatura metallica che costituisce la carcassa molto probabilmente reggerebbe. Inoltre la spinta da parte del bullone difficilmente potrebbe essere concentrata in un punto e, molto probabilmente, il bullone non starebbe mai fermo anche se si procedesse di moto rettilineo uniforme in quanto le irregolarità della strada lo farebbero comunque oscillare e cambiare di posizione. Pensandoci poi meglio, gli strumenti per l’equilibratura possono rilevare uno squilibrio solo nel caso il bullone sia fissato sul cerchione o sul copertone. In alternativa probabilmente lo strumento potrebbe dare un segnale di errore e chiedere di ripetere l’analisi, oppure approssimare l’esito come se il bullone non fosse presente. Si può inoltre ipotizzare che il conducente non rilevi vibrazioni provenienti dal pneumatico bensì un tintinnio simile ad un sasso che sbatte in un contenitore messo in rotazione. Gli urti contro il pneumatico sarebbero attutiti mentre quelli contro il cerchione, in particolar modo quando si riduce la velocità periferica della ruota, sarebbero facilmente avvertibili e piuttosto evidenti. Si avrebbe forse la sensazione di un importante guasto al cuscinetto ruota o al cerchione stesso però la marcia proseguirebbe regolarmente. Quello che poi può succedere insistendo nella marcia, è tutto da testare. I continui urti del bullone all’interno della ruota potrebbero danneggiare il cerchione innescando pericolose cricche che potrebbero portare ad una perdita di pressione. Forse alla lunga l’interno del copertone accuserebbe lacerazioni e tagli dovuti ad eventuali spigoli accentuati del bullone inteso come insieme vite+dado. Se si considera il solo dado, invece, penso si potrebbe prolungare la marcia prima di accusare un danno non trascurabile. Gli effetti diminuiscono quanto minore è la massa di un dado e quanto più smussate sono le sue superfici. Se si arriva ad ipotizzare un corpo sferico, caduto accidentalmente all’interno del pneumatico in fase di montaggio e non rilevato dalla macchina per l’equilibratura, si potrebbe avere un largo margine in cui non si presentano danni ma si avverte un rumore “effetto sassolini” fastidioso e allo stesso tempo preoccupante.

La simulazione

Nelle immagini che seguono vediamo degli screenshot raffiguranti 5 fasi di una simulazione fisica che abbiamo effettuato con Algodoo (Vedi l’articolo: “Simulare la fisica con Algodoo“). Nella scena sono compresi la carcassa semplificata di un pneumatico e un oggetto metallico dalla forma irregolare, per entrambi vengono simulati i relativi materiali con le rispettive caratteristiche fisiche (massa, densità, attrito…). Fa inoltre parte della simulazione la forza di gravità, le forze di attrito in gioco, la presenza dell’aria e, ovviamente, la rotazione del pneumatico con momenti a moto costante, altri a moto accelerato ed altri ancora in cui il pneumatico è soggetto a vibrazioni assimilabili a quelle provocate da un fondo irregolare quale è il manto stradale. Per evidenziare il percorso abbiamo dotato il corpo estraneo di un “tracer” ovvero di un tracciante dotato di dissolvenza utile a capire dove si trovava l’oggetto stesso pochi istanti prima.

Ad un basso numero di giri (Fig. 1), con velocità periferica costante, l’oggetto metallico dalla forma irregolare tende ad essere trascinato nella rotazione dal pneumatico tuttavia, raggiunta una certa pendenza, la forza di gravità tende a riportarlo verso il basso in quanto la forza normale agente sul corpo è molto piccola e la forza tangenziale vince l’attrito. Non appena la quota raggiunta dall’oggetto diminuisce, cala la pendenza e nuovamente l’attrito vince sulla forza tangenziale riportando più in alto l’oggetto. Ad un basso numero di giri questo fenomeno si ripete in modo alterno con possibilità di danni di carattere abrasivo piuttosto limitati in quanto, anche se l’oggetto presentasse forma irregolare e spigoli taglienti, le forze in gioco sono contenute e, data la resistenza di un pneumatico ordinario, non innescano particolari fenomeni critici.

Aumentando il numero di giri (Fig. 2), il moto diventa accelerato, le forze in gioco variano continuamente direzione, verso e intensità in quanto si ripresenta il fenomeno precedente ma con un effetto amplificato che si traduce in urti e rimbalzi. Quest’ultimi non permettono una stabile alternanza di saliscendi come nel primo caso. Nel caso l’oggetto abbia una superficie irregolare e spigoli taglienti la possibilità di danni è comunque contenuta per via della massa ridotta che può avere un piccolo oggetto accidentalmente introdotto all’interno del pneumatico duranta la fase di montaggio. Con una massa ridotta, per arrivare a fenomeni rilevanti, è necessario sottoporre l’oggetto ad accelerazioni molto elevate. Inoltre è opportuno notare che l’oggetto difficilmente colpirà ripetutamente il medesimo punto e, anche se ciò accadesse, non avrebbe una massa e un’accelerazione tali da riuscire a perforarlo attraversandolo ed uscendo all’esterno.

Quando la velocità periferica si fa consistente (Fig. 3) il corpo estraneo aderisce alla parete interna del pneumatico rimanendo fermo in un punto di equilibrio in quanto la forza normale al punto di contatto oggetto-pneumatico diventa prevalente. Tuttavia l’oggetto rimane fermo in un punto solo se il moto circolare del pneumatico è costante (o subisce minime variazioni) e se il fondo stradale è rappresentato da un piano perfetto. Ovviamente si tratta di condizioni ideali. Simulando alcune sconnessioni del manto stradale (Fig. 4) il corpo estraneo ricomincia i suoi rimbalzi con una frequenza proporzionale alle irregolarità della strada.

Infine, durante una frenata (Fig. 5), è possibile osservare come il corpo estraneo si distacchi dalla parete interna del pneumatico e il suo moto, prima del nuovo contatto contro un altro punto della parete stessa, diventi parabolico come quello di un proiettile. Senza entrare troppo nello specifico, anche questa situazione mostra come sia difficile che un corpo estraneo entrato accidentalmente all’interno del pneumatico (in fase di montaggio) possa rimaner fermo a lungo nello stesso punto.

Figura 1 Figura 2 Figura 3 Figura 4 Figura 5